I crocifissi dei Santi
Breve storia di importanti Crocifissi venerati dai Santi
di Antonio Tarallo
Simbolo del Cristianesimo. L’iconografia più conosciuta, quella riconducibile solamente al Cristianesimo: il Crocifisso. O, secondo altro termine, “Crocefisso”, con la “e”. Ma la sostanza non cambia, certo, con la sostituzione delle due vocali. È lì. Lo troviamo in ogni chiesa, e a ben definire la sua posizione al loro interno, ci pensa l’“Ordinamento Generale del Messale Romano”: “Vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato”.
Un “oggetto” che non è semplice “oggetto”, ma che rimanda alla memoria, sia emozionale, sia intellettiva, a un mistero, al mistero della cosiddetta “follia della Croce”. E ce lo ha ben ricordato, ultimamente, Papa Francesco, durante la Celebrazione della Festa dell’Esaltazione della Croce, lo scorso 14 settembre, donando ai fedeli quarantamila crocifissi.
Ma, oltre a questi, ha donato, anche delle parole che è bene riportare: “Contemplare la croce, segno del cristiano, è per noi contemplare un segno di sconfitta ma anche un segno di vittoria. Nella croce fallisce tutto quello che Gesù aveva fatto nella vita, e finisce tutta la speranza della gente che seguiva Gesù. Non abbiamo paura a contemplare la croce come un momento di sconfitta, di fallimento”. Ma rimane, ovviamente, anche – continua il pontefice – “il nostro segno di vittoria perché Dio ha vinto lì”. Ed è proprio in questo palese “ossimoro”, che entra il suo mistero, il mistero della Resurrezione, che viene – appunto – dopo quella Croce. Per Cristo, per noi.
Ed è stato proprio questo “incrocio di assi di legno”, questo “oggetto” – alla fine, possiamo ben dirlo, per chi non è nella Fede – che risulta non altro che uno dei più atroci strumenti di tortura dell’Impero Romano, a condurre molti Uomini alla conversione o a confermare il loro cammino verso mete di Santità, di imitazione di quello stesso Uomo posto lì, su quella Croce.
Il Crocifisso. È naturale che subito richiami alla mente, soprattutto nella spiritualità francescana, l’episodio del giovane Francesco, orante, davanti a quello di San Damiano. È noto che da quell’incontro con il Cristo sofferente, con il Cristo in Croce, da quell’intimo dialogo, nasca poi tutto il cammino di San Francesco. Dal “Va e ripara la mia casa”, davanti a quell’ “immagine”, la Storia della Chiesa non fu più la stessa.
Santa Rita da Cascia.
Santa Rita e il crocifisso. Basta solamente pensare all’iconografia popolare della Santa. Le immagini parlano chiaro. Dalle immaginette sacre ai quadri, passando per i “medaglioni” (quasi sempre incorniciati di oro splendente), l’effige di Santa Rita vede coinvolto un piccolo crocifisso ligneo, posto sempre nelle sue mani. È stretto nelle sue mani. Così come si tiene stretto l’amato/a. In questo caso, è l’Amato, con la “a” maiuscola. Quel crocifisso è il ricordo delle stimmate ricevute nel 1432. Bisogna dire, però, che l’immagine non è “propriamente” vera.
È naturale che l’iconografia popolare abbia bisogno di “segni”, che subito visibilmente possano essere riconducibili alla storia dei Santi. Ma, il piccolo crocifisso nelle mani non rispecchia – del tutto – la storia di Rita. Si trattava di altro crocifisso, nella realtà. “È il 1432. Un giorno, mentre è assorta in preghiera, forse memore della predicazione sulla passione di Cristo fatta da fra Giacomo della Marca nel 1425 presso la chiesa di Santa Maria e, ancor più, formata alla spiritualità agostiniana incentrata sull’amore verso l’umanità di Cristo (che trova la sua più alta espressione nella passione), chiede al Signore di renderla partecipe alle sue sofferenze. Non sappiamo cos’è accaduto in quel momento, una luce, un lampo, una spina staccatasi dal Crocifisso le si conficca nella fronte e nell’anima”.
Così, nella “memoria storica”, si narra il prodigioso evento che avvenne, nell’oratorio del monastero agostiniano di Cascia. Lì, vi è un affresco sbiadito dal tempo e dalle cattive condizioni “climatiche” della sala: al tempo di Napoleone (tra il 1810 ed il 1815), lo stanzone, purtroppo, fu adibito a focolare.
Per questo motivo, l’affresco è difficilmente databile, essendo stato molto rovinato dall’umidità. Dal 1957, davanti a quel Crocifisso dipinto, vi è una statua dello scultore A. Biggi, a testimoniare l’episodio miracoloso della vita di Santa Rita.
Altro crocifisso, altro Santo. San Camillo de Lellis. Durante la propria vita, il “Gigante della carità” ebbe sempre grande devozione per il “sacro legno”. Cercava di trovare in esso, sostegno nei momenti più difficili. In particolare, subito dopo la nascita della prima “Compagnia dei Ministri dei primi Infermi”, erano in molti a provare invidia per Camillo. Insieme ai primi compagni, egli era solito riunirsi a pregare in una saletta dell’ospedale San Giacomo degli incurabili di Roma, dove campeggiava un grande crocifisso. Qualcuno, sempre per invidia nei confronti del Santo, ebbe l’ardire si staccarlo dal muro e gettarlo dietro una porta. Un gesto che ferì profondamente Camillo e lo turbò, facendolo dubitare addirittura, sul futuro della compagnia. Ma Cristo gli venne in soccorso. Quella stessa notte, San Camillo, sognò che il Cristo si staccava dalla croce e, andandogli incontro, così lo confortava: “Non temere pusillanime, continua, perché questa non è opera tua, ma opera mia!”. E così fece.
L’“oggetto sacro” si trova a Roma, nella Chiesa della Maddalena, dove è custodito anche il corpo del Santo. Le mani di Gesù Cristo sono staccate dalla Croce. In chiusura, non poteva mancare, un accenno al Crocifisso delle stimmate di Padre Pio. Quello nel convento di Santa Maria delle Grazie, presente nella cappella del coro. Padre Pio, perso nel Crocifisso, riceve le stimmate. Era il 20 settembre 1918. E qui si entra nel mistero della Santità. Credo che le parole del Santo, valgano più di diversi racconti: “Non ho mai gridato come allora. Ma senza che la mia voce lasciasse la gola. Un urlo silenzioso, muto. Più che un dolore della carne, molto di più. Dentro, più a fondo. Oltre le ossa e il sangue. La punta strappava e perforava la mia essenza e la spremeva senza però riuscire a finirla. Così lo strazio non smetteva e, dal fianco colpito, esplodeva in continuazione come i cerchi nello stagno quando si getta un sasso. Non ha più smesso. È uno squarcio e seguita a sanguinare. Ne sento anche il suono, il rumore del sangue che esce e si versa. Ogni istante penso che sia l’ultimo per me ma non è così. Mi dissanguo senza morire. Sono spaventato ma qualcosa, sul fondo della mia miseria di uomo, canta di gioia e alza lodi a Dio”.
Antonio Tarallo
Commenti dei lettori
NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO
Lascia tu il primo commento
Lascia il tuo commento
la cripta
di San Francesco
Rivista
San Francesco