Il Papa: Gesù non vuole “reporter dello spirito", ma suoi testimoni viventi
di Alessandro Di Bussolo
Sull’esempio di Pietro e Paolo, testimoni di vita, di perdono, di Gesù, chiediamo al Signore di non essere cristiani tiepidi, “reporter” dello spirito, ma “testimoni che ogni giorno Gli dicono: ‘Signore, tu sei la mia vita’”. Così Papa Francesco, nell'omelia della Celebrazione per la Solennità degli apostoli San Pietro e San Paolo, dopo la benedizione dei Palli per 31 nuovi arcivescovi metropoliti, presenta i due come “peccatori pentiti”, che Gesù ha chiamato per nome e così “cambiò la loro vita”.
Perché Cristo ha scelto Pietro e Paolo, “due peccatori pentiti”
“Non si sono mai stancati di annunciare, di vivere in missione, in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma”, ricorda il Papa, e “qui lo hanno testimoniato sino alla fine, dando la vita come martiri”. Sono stati innanzitutto testimoni di vita, ma “le loro vite non sono state pulite e lineari”. Erano di indole molto religiosa, ma “fecero sbagli enormi: Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare la Chiesa di Dio”. Eppure Gesù si fidò di loro. Perché il Signore, si chiede Francesco, “non ci ha dato due testimoni integerrimi, dalla fedina pulita, dalla vita immacolata? Perché Pietro, quando c’era Giovanni? Perché Paolo e non Barnaba?”
Il Signore cerca gente che non basta a se stessa
L’insegnamento, chiarisce il Pontefice, è che “il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni; con quelli che si credevano bravi il Signore ha potuto fare ben poco”.
Quando ci riteniamo migliori degli altri è l’inizio della fine. Il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso. Non è attratto dalla nostra bravura, non è per questo che ci ama. Egli ci ama così come siamo e cerca gente che non basta a sé stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore. Pietro e Paolo sono stati così, trasparenti davanti a Dio.
Pietro e Paolo: trasparenti e umili fino alla fine
Infatti, ricorda Papa Francesco, Pietro disse subito a Gesù: “sono un peccatore”, e Paolo scrisse di essere “il più piccolo tra gli apostoli”. Umili fino alla fine, con “Pietro crocifisso a testa in giù, perché non si credeva degno di imitare il suo Signore, e Paolo sempre affezionato al suo nome, che significa ‘piccolo’”.
Hanno compreso che la santità non sta nell’innalzarsi, ma nell’abbassarsi: non è una scalata in classifica, ma l’affidare ogni giorno la propria povertà al Signore, che compie grandi cose con gli umili. Qual è stato il segreto che li ha fatti andare avanti nelle debolezze? Il perdono del Signore.
Falliti come uomini, rinati grazie al perdono di Dio
Infatti i due apostoli, sottolinea il Papa, sono stati “testimoni di perdono”, perché “nelle loro cadute hanno scoperto la potenza della misericordia del Signore, che li ha rigenerati”. “Con quello che avevano combinato - ricorda Francesco - avrebbero potuto vivere di sensi di colpa”. Quante volte Pietro avrà ripensato al suo rinnegamento! E Paolo, che aveva fatto del male a tanti innocenti?
Umanamente avevano fallito. Ma hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire anche i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero. Da lì si riparte, dal perdono; lì ritroviamo noi stessi: nella Confessione.
Testimone è chi vive una storia d’amore con Gesù
Ma Pietro e Paolo, chiarisce il Pontefice, sono soprattutto “testimoni di Gesù”. A Gesù che chiede: “Chi credete che io sia?”, non rispondono qualche profeta o Giovanni Battista, persone straordinarie, ma tutte morte. Pietro risponde “Tu sei il Cristo”, il Messia, parola che “non indica il passato, ma il futuro”. Gesù, sottolinea ancora Papa Francesco, non è “un personaggio lontano da ricordare, ma Colui al quale Pietro dà del tu: Tu sei il Cristo”.
Per il testimone, più che un personaggio della storia, Gesù è la persona della vita: è il nuovo, non il già visto; la novità del futuro, non un ricordo del passato. Dunque, testimone non è chi conosce la storia di Gesù, ma chi vive una storia di amore con Gesù.
Il testimone dice al Signore: “Tu sei la mia vita”
Pietro chiama Gesù “Figlio del Dio vivente”, Paolo ripete il nome di Cristo “in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, il punto di riferimento: è la vita”. Davanti a questi testimoni, il Papa invita a chiedersi “Io rinnovo ogni giorno l’incontro con Gesù?”. “Magari siamo dei curiosi di Gesù, ci interessiamo di cose di Chiesa o di notizie religiose”.
Apriamo siti e giornali e parliamo di cose sacre. Ma così si resta al che cosa dice la gente, ai sondaggi, al passato, alle statistiche. A Gesù interessa poco. Egli non vuole reporter dello spirito, tanto meno cristiani da copertina o di statistiche. Egli cerca testimoni, che ogni giorno Gli dicono: “Signore, tu sei la mia vita”.
Chiediamo di non essere cristiani tiepidi
Dopo l’incontro con Gesù, “sperimentato il suo perdono - conclude Francesco - gli Apostoli hanno testimoniato una vita nuova”. “Non si sono accontentati di mezze misure”, si sono “versati in offerta”. Chiediamo anche noi “la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure, che lasciano raffreddare l’amore”. “Gesù, come a Pietro, chiede anche a te: ‘Chi sono io per te?’; ‘mi ami tu?’”. “Lasciamo che queste parole - è l’invito finale del Pontefice - ci entrino dentro e accendano il desiderio di non accontentarci del minimo, ma di puntare al massimo, per essere anche noi testimoni viventi di Gesù”.
Il Pallio: segno che i Pastori vivono per le pecore
Ricordando infine la benedizione dei Palli “per gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno”, Papa Francesco sottolinea che “il pallio ricorda la pecorella che il Pastore è chiamato a portare sulle spalle: è segno che i Pastori non vivono per sé stessi, ma per le pecore; è segno che, per possederla, la vita bisogna perderla, donarla”. Ai 31 arcivescovi presenti alla celebrazione, come ormai è consuetudine in questo Pontificato, il Pallio sarà imposto dal rappresentante pontificio nel corso di una celebrazione che si svolgerà nelle rispettive Chiese particolari. Tra loro, che vengono da tutti i continenti, anche gli italiani mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, mons. Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano, e mons. Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino.
Il saluto alla delegazione del Patriarcato ecumenico
Infine il Papa ricorda che è presente “secondo una bella tradizione, una delegazione del Patriarcato ecumenico” di Costantinopoli, che saluta con affetto. “La vostra presenza ci ricorda che non possiamo risparmiarci nemmeno nel cammino verso l’unità piena tra i credenti - spiega - nella comunione a tutti i livelli. Perché insieme, riconciliati da Dio e perdonatici a vicenda, siamo chiamati a essere testimoni di Gesù con la nostra vita”. La delegazione, inviata dal patriarca Bartolomeo, è guidata dal metropolita Job, arcivescovo di Telmessos, rappresentante del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese e co-presidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. L’arcivescovo Job è accompagnato da Maximos, vescovo di Melitini, e da Bodphorios Mangafas, diacono patriarcale.
La consegna dei Palli davanti alla cappella della Pietà
Al termine della celebrazione, Francesco, accompagnato dal Metropolita ortodosso, scende alla Confessione di San Pietro per una breve preghiera. In processione poi, il Pontefice e gli arcivescovi metropoliti raggiungono la cappella della Pietà, illuminata dal capolavorto di Michelangelo. Qui viene scattata una foto ricordo, i metropoliti vengono chiamati per nome e ricevono uno a uno dalle mani di Papa Francesco il pallio che verrà loro imposto nella Diocesi di appartenenza dal nunzio apostolico. VATICAN NEWS
Alessandro Di Bussolo
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