Il presepe, la sua storia, le origini e la simbologia delle statuette
di Antonio Tarallo
Pensando al Natale, difficilmente non può non venire in mente una delle battute più famose del teatro di commedia del nostro secolo: “Te piace ‘o Presepio? Eh?!”. Così domandava – in una specie di tormentone-leitmotiv – il protagonista Luca Cupiello della famigerata opera “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. E in quella semplice domanda troviamo qualcosa di più profondo, di più importante: un confronto fra generazioni, fra chi, arroccato nella tradizione, cerca di tramandare al figlio, Tommasino detto Nennillo, tutto un background partenopeo che ha origini antiche. Andiamo allora a scoprire queste origini, così affascinanti e preziose.
Partiamo però con una questione linguistica. Si dice “Presepio” o “Presepe”? L’etimologia è interessante: dal latino, praesaepe (con dittongo) o praesepe (senza dittongo), “qualcosa” che ha a che fare con la “siepe”; infatti basti pensare che il verbo “praesepíre” significa “circondare con una siepe”, quindi “proteggere”. Il sostantivo neutro “praesepe” indica, in origine, il “recinto per le bestie”. Abbiamo, dunque, con questo termine, ciò che rappresenta nell’immaginario natalizio, tutta quella struttura composta da pastori, animali, Sacra Famiglia e chi più ne ha più ne metta, così si dice di solito. Presepe vuol dire: “stalla” e/o “mangiatoia”. Ma, ancora non abbiamo scoperto l’arcano mistero linguistico.
Ci viene in aiuto un maestro, il Maestro dell’Italiano, lui, Dante. Leggiamo in un commento alla Divina Commedia, detto l’ “Ottimo”, coevo di Padre Dante, che nel parlare dell’umiltà della Madonna, nel canto XX del Purgatorio, scrive: “L’anima che si purga traeva grandi guai ed in essa chiamava Nostra Donna e rammentava com’ella amò povertade, adducendo a provazione di ciò e la presepe e la capanna de’ pastori là dov’ella partorì Gesù Cristo”. Dunque, è “Presepe”, non “Presepio” che è la forma dialettale entrata in uso particolarmente nel popolo.
Certamente, dopo quello di Greccio, di San Francesco d’Assisi, il Presepe più famoso è quello del Settecento napoletano, espressione, anima di un popolo, di una cultura, dove la spiritualità e la tradizione si sposava con mirabile cura, all’eleganza e ai fasti di quell’epoca. Napoli, infatti rappresentava la capitale europea della Cultura e della politica. Bisogna però precisare che già nel 1021, si fa menzione di un presepe, a Napoli: compare in un “istrumento”, un atto notarile dell’epoca, in cui veniva citata la chiesa di Santa Maria “ad praesepe”. Successivamente, in un testo del 1324, si fa riferimento ad una “Cappella del presepe di casa d'Alagni”, precisamente ad Amalfi.
Altri esempi risalgono al 1478, con un presepe di Pietro e Giovanni Alemanno. Di questo, ci sono giunte dodici statue. Poi troviamo la Natività di marmo del 1475, di Antonio Rossellino, visibile a Sant'Anna dei Lombardi. E fin qui, potrebbe definirsi “preistoria” del Presepe del Settecento così come lo conosciamo noi. Infatti bisogna aspettare il 1534, per avere “qualcosa” che si avvicini maggiormente alla particolare struttura scenografica e costumistica, diciamo così, che tutti abbiamo in mente quando parliamo della massima espressione di quest’arte dove scenografica, pittura, sartoria, e scultura si fondono. Nel 1543, arrivò a Napoli, San Gaetano da Thiene. Fu lui, in una certa misura, a dare al Presepe un “tocco di novità”.
Particolarmente apprezzato fu quello costruito nell'ospedale degli Incurabili. Il santo, viene indicato – in una certa misura – come l'inventore dello stesso presepe napoletano. Come colui che diede inizio alla tradizione di allestire il presepe nelle chiese e nelle case private in occasione del Natale. Ma vediamo la grande novità che apportò San Gaetano: prima di tutto, le statuine furono sostituite da manichini snodabili di legno, rivestiti di stoffe o di abiti. I primissimi manichini napoletani erano a grandezza umana per poi ridursi attorno ai settanta centimetri. Di questa importante epoca si ricorda il famoso presepio realizzato nel 1627 dagli Scolopi, i sacerdoti dell’ordine religioso fondato a Roma da San Giuseppe Calasanzio, nel 1617.
Altro nome importante, Michele Perrone, esponente del barocco napoletano. In un antico documento si legge che il presepe napoletano, che ogni anno aveva luogo nella chiesa di Santa Brigida, aveva pastori modellati da Tonno Ciappa, soprannome – appunto – di Michele Perrone. Fu lui ad apportare un'altra importante novità:i manichini conservarono sia la testa e gli arti in legno, ma furono realizzati con un'anima in filo di ferro rivestito di stoppa che consentì alle statue di avere pose più plastiche.
Verso la fine del Seicento nacque la teatralità del presepio napoletano, arricchita dalla tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare in ogni arte la quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepio statue di personaggi del popolo come i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i tavernari, gli osti, i ciabattini, ovvero la rappresentazione degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nasce. Particolarmente significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo, secondo un'iconografia già ben radicata in pittura.
Fu nel Settecento che il Presepio napoletano visse la sua stagione d'oro, come sappiamo. Le statuette che fino adesso avevano animato soprattutto le chiese della città, cominciarono a fare il loro ingresso nelle case dorate dei nobili e ricchi borghesi napoletani. E anche in questo caso non possiamo che ricordare un nome, in particolare, quello di Giuseppe Sanmartino.
La scena presepiale, se prima era soprattutto composta da statuette religiose che ben esprimevano la devozione popolare, con il Sanmartino si amplia e va ad interessare – più laicamente – anche gruppi di pastori, di venditori ambulanti, le figure dei re Magi, e gli animali.
Fra i personaggi, ricordiamo: Benino o Benito, figura che rappresenta simbolicamente i “pastori dormienti” dell’annuncio; il vinaio, in “rappresentanza” del vino e del pane eucaristico; il pescatore, alias il pescatore di anime; i due compari, zi' Vicienzo e zi' Pascale, personificazione del Carnevale e della Morte; Stefania, una giovane vergine che, nato il Redentore, si incammina verso la Natività per adorare Gesù Bambino; la meretrice, simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine.
Antonio Tarallo
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