La Sacra di San Michele in Val di Susa, e Monte Sant’Angelo nel Gargano
Quando San Francesco si recò alla grotta del Gargano
di Antonio Tarallo
Questa volta, è la nostra bella Italia ad essere protagonista. Il viaggio sarà più breve, non servirà, infatti andare troppo lontano per continuare la nostra esplorazione letteraria nei luoghi legati al culto di San Michele Arcangelo, della sua cosiddetta “linea”, pellegrinaggio che si estende per oltre 2000km . Sono due, infatti, i siti nostrani, che fanno parte dell’itinerario “micaelico": la Sacra di San Michele in Val di Susa, nel Piemonte e Monte Sant’Angelo nel Gargano, in Puglia. Due luoghi, dunque, che abbracciano immaginariamente il nostro stivale, dal Nord al Meridione. Procediamo, allora, in ordine.
La Sacra di San Michele in Val di Susa, è uno dei siti più suggestivi del Piemonte. Ci troviamo a 40 chilometri da Torino. L’antichissima abbazia fu costruita tra il 983 e il 987, sulla cima del monte Pirchiriano. Dall’alto dei suoi torrioni, si può ammirare Torino, con la sua mole antonelliana, e il panorama “da favola” della intera Val di Susa. Per storia, valore spirituale e grazie all’incantevole paesaggio che la circonda, è divenuta ormai meta di richiamo per visitatori da tutta Europa. Pellegrini, fedeli, turisti, ma anche sportivi che vogliono mettersi alla prova con percorsi di arrampicata, o coraggiose escursioni in mountain-bike.
Il culto di San Michele approdò in Val di Susa nei secoli V o VI. L’antichissima abbazia, collocata su un imponente basamento di 26 metri, che si estende per ben 960 metri di altitudine, si affaccia sul confine fra le Alpi Cozie e la Pianura Padana. Dal XII al XV secolo visse il periodo del suo massimo splendore storico, divenendo uno dei principali centri della spiritualità benedettina in Italia.La facciata, alta ben 41 metri, è una combinazione coloristica e geometrica composta di linee rette del basamento grigio-ferrigno. Furono i benedettini, i primi rettori della basilica, a intraprendere il ciclopico lavoro di costruzione del basamento nella prima metà del XII secolo, per erigervi sopra la grande chiesa a cinque absidi. L’inizio dei lavori di costruzione della chiesa è di difficile datazione, ma si suppone che l’avvio sia stato commissionato da tale abate Stefano, tra il 1148 e il 1170 circa. Dal piano d'ingresso si raggiunge la chiesa, attraverso un ampio e ripido scalone posto nella nicchia centrale. Qui, fino al 1936, erano custoditi alcuni scheletri di monaci. Da questo, il nome di “Scalone dei Morti”. Giunti alla sua sommità, si attraversa il “Portale dello Zodiaco”, un’opera romanica, scolpita dal Maestro Nicolao. Gli stipiti scolpiti a destra, recano i dodici segni zodiacali, mentre quelli di sinistra, le costellazioni australi e boreali. E siamo giunti, dunque, al “cuore” dell’abbazia: il Santuario. E’ di stile romanico-gotico, modificato però nel corso di più secoli. Sono presenti tre generi di architettura: romanico nella parte absidale, orientata verso il punto esatto in cui sorge il sole nel giorno della festività di San Michele, il 29 settembre; romanico di transizione nelle due successive arcate con pilastri a fascio e archi acuti; e – in ultimo – ci troviamo davanti a un gotico di scuola piacentina, sia nella decorazione del finestrone dell’abside centrale, sia nelle due finestre delle navate minori. Un luogo che non poteva non ispirare uno scrittore attento al Medioevo, come Umberto Eco. Una piccola curiosità, a tal proposito. Si dice che sia stata proprio questa abbazia ad ispirare il famoso romanzo-storico-giallo de “Il nome della Rosa”. In fondo, basta leggerne l’incipit, per individuare alcuni rimandi a questo importante sito benedettino, retto dal XIX secolo dai padri rosminiani. Ma adesso lasciamo i lettori di “San Francesco, patrono d’Italia” con l’inizio del romanzo, mentre noi cominciamo ad incamminarci verso il sud d’Italia, in Puglia. Queste le prime “battute” de “Il nome della rosa”:
“Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco, ma il terreno era coperto di un velo fresco non più alto di tre dita. Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole”.
Eccoci, dunque, giunti a Monte San’Angelo, vicino Foggia. Siamo nella solare Puglia. Siamo arrivati abbastanza presto. Piccola e preziosa facoltà della scrittura, una “boutade” spero concessa. Qui, su questo promontorio del Gargano, sorse, nel V secolo, il più antico e famoso luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo. Questo santuario, potrebbe definirsi il “capostipite” dei molti altri sorti nell’intera Europa. Infatti fu proprio questo, il Santuario del Gargano, a rappresentare il modello ideale per tanti altri luoghi di culto. Il “leitmotiv”, il criterio quasi unanime diciamo, sarebbe poi stato – all’incirca – questo: le cime dei monti, i colli, i luoghi elevati, le grotte profonde furono, da considerarsi, fin dalle più remote origini, la sede più appropriata per le preghiere indirizzate agli angeli e, in particolare, a lui, San Michele. Il luogo è venerato già dal 490, anno in cui – secondo tradizione – avvenne la prima apparizione dell'arcangelo Michele al Vescovo, e poi Santo, Lorenzo Maiorano. E’ così preziosa la testimonianza inclusa nel “Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano”, datata tra il V e l'VIII secolo, che non possiamo fare a meno di riportarla:
“Vi era in questa città un uomo molto ricco di nome Gargano che, a seguito delle sue vicende, diede il nome al monte. Mentre i suoi armenti pascolavano qua e là per i fianchi avvenne che un toro (…) non era tornato nella stalla. Il padrone, riunito un gran numero di servi, cercandolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trova, infine, sulla sommità del monte, dinanzi ad una grotta. Mosso dall'ira perché il toro pascolava da solo, prese l'arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa ritorta dal soffio del vento, colpì lo stesso che l'aveva lanciata. Turbato dall'evento, egli si recò dal vescovo che, dopo aver ascoltato il racconto della straordinaria avventura, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Allo scadere del terzo giorno, al vescovo Maiorano apparve l'Arcangelo Michele che così gli parlò: «Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l'uomo con la sua apparizione, e la stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà. Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va', perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano”.
Nel corso dei secoli, milioni di pellegrini si sono recati in visita a questa antica spelonca. Tra loro, numerosi i papi, come Gelasio I, Leone IX, Urbano II, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V, Giovanni XXIII, e Giovanni Paolo II. Pellegrini anche molti sovrani: Ludovico II, Ottone III, Enrico II, Matilde di Canossa, Carlo d'Angiò, Alfonso d'Aragona, Ferdinando il Cattolico. Ma c’è un nome fra questi, che – difficile nasconderlo – fa un certo effetto nominare: è quello di San Francesco d’Assisi, che nel 1222, fece visita a questo luogo santo. Si racconta che, una volta fermato all’ingresso della Grotta e, non osando entrarvi ritenendosi indegno, abbia lasciato inciso sulla nuda roccia, il segno della croce a forma di Tau. E’ a tale visita che si fa risalire l’origine della chiesetta campestre di S. Maria degli Angeli, di stile gotico, sorta poi sulla parte più alta del monte.
Antonio Tarallo
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