La vita di Santa Cecilia patrona dei musicisti
di Antonio Tarallo
“Vexata quaestio”, o “querelle”, o “problema aperto”, a voi la scelta del “modo di dire” che meglio vi piace. Se parliamo della Santa di oggi, Santa Cecilia, non possiamo non iniziare questo approfondimento sulla sua vita se non con una questione che – seppure per diversi aspetti si potrebbe dire “conclusa” – rimane ancora aperta, in un certo modo. Domanda delle domande: è possibile dire che Santa Cecilia è la patrona dei musicisti? Nell’immaginario collettivo, Santa Cecilia rimane tale, e un po’ per devozione popolare, un po’ per tradizione, ancora oggi, si festeggia, appunto, come “patrona dei musicisti”.
Lo sa bene la Chiesa Basilica di Santa Cecilia, nel famoso quartiere romano di Trastevere, che conserva le spoglie della Santa e che, ogni 22 novembre, celebra una Messa in cui “i cantori”, molte volte appartenenti alla Cappella Sistina, svolgono un ruolo importante per l’animazione liturgica. Tra l’altro, proprio in questa celebrazione, avviene che molti piccoli “cantori” ricevano l’“iniziazione” a far parte della Cappella stessa, sotto la protezione della santa martire che aveva l’abitazione proprio nel popolare quartiere della Capitale.
Necessario, allora, fare il punto della situazione. Come dei detective in cerca di indizi, di prove, dobbiamo ricercare, prima di tutto, da dove nasce questo “disguido” o “non disguido” – dipenderà poi dalla scelta che si vuole fare, in un certo senso – delle due “letture” che esamineremo. Partiamo dalla formula dell’antifona di introito della messa per la festa della Santa. E già in questo caso, troviamo, un primo “difetto di forma”, prendiamo in prestito il “modus dicendi” dal gergo d’istruttoria. Alcuni attribuiscono il passo alla Messa per la Santa, altri – invece – a una “Passio”. Ma riportiamo il testo “incriminato”: “Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar”. E proprio da questo testo che cominciano i problemi.
Ebbene sì: il passo in questione, si riferisce al suo banchetto di nozze con Valeriano, o al suo martirio? Questa è la domanda da porsi per vederci un po’ chiaro nella indagine che ci siamo prefissati di seguire. E’ questo il punto cardine della attribuzione o no dell’appellativo di patrona dei musicisti. E, la prova del nove, così si dice, è da farsi con la traduzione del passo citato. Qui sorgono, a seconda della collocazione dell’episodio riportato, i problemi, o meglio, quelle che potremmo definire “questioni irrisolte”, alla fine. Non ci rimane che confrontare le due traduzioni, per capirci meglio.
La prima: “Mentre suonavano gli strumenti musicali, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa", questa per la “versione del banchetto”, per intenderci. Punto della situazione. Dunque, per dare un significato al testo, tradizionalmente – e soprattutto dal XV secolo – quel “cantantibus organis” e “Cecilia virgo in corde suo soli Domini decantabat”, si riferiva al banchetto, posizione confutata dalla traduzione di “organis” con “strumenti musicali” che suonavano. Da aggiungere poi, la versione della santa che cantava a Dio interiormente. Da qui, si arriverà addirittura a un'interpretazione particolare – e ad accompagnarla vi è una moltitudine di immagini pittoriche dell’epoca – che vede Santa Cecilia raffigurata con un piccolo organo, con tanto di tastiera, a lato della sua immagine.
La seconda. Per questa, bisogna precisare un particolare di non poco conto. E’ opinione di molti che ci sia un errore presente già nella versione stessa, quella latina. In sintesi, ci sarebbe un problema di copiatura del testo stesso, visto che i codici più antichi non riportano l’antifona che ha come incipit “Cantantibus”, bensì “Candentibus organis, Caecilia virgo…”. Stravolgimento della prova, vostro onore, così si direbbe in tribunale. In questo caso, gli "organi" a cui si fa riferimento non potrebbero che essere gli strumenti di tortura. Altro che organi, o strumenti musicali. L'antifona descriverebbe, dunque, Cecilia, che “tra gli strumenti di tortura incandescenti, cantava a Dio nel suo cuore”. La frase, dunque, non si riferirebbe al banchetto di nozze, bensì al momento del martirio.
Come abbiamo avuto modo di percepire dalla storia, o più precisamente “dalle storie”, fin qui narrate, è stato assai facile che per via di tutte queste possibili traduzioni-tradizioni, Santa Cecilia, sia stata definita “patrona dei musicisti”. In fondo, rimane sempre, in entrambe, un dato: il suo “canto” – ora poco importa se esternato in melodie o meno – a Dio. E, allora, meglio focalizzarci proprio su questa sua vita dedicata all’amore per Dio, che si espresso poi nel suo martirio.
“Ventidue novembre. Memoria di santa Cecilia. Vergine e martire, che si tramanda abbia conseguito la sua duplice palma per amore di Cristo nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Il suo nome è fin dall’antichità nel titolo di una chiesa di Roma a Trastevere”. Così, il Martirologio Romano descrive la santa romana. E, l’elemento più importante, si intuisce subito è il martirio.
Secondo la tradizione, Cecilia era nata da una nobile famiglia romana. Era stata promessa sposa al giovane pagano Valeriano. La notte delle nozze, Cecilia rivelò allo sposo che un angelo di Dio custodiva la sua verginità, e lo invitò alla conversione. Solamente se si fosse convertito al Cristianesimo, avrebbe potuto vedere anche lui l’angelo che vegliava su lei. Fu così che Valeriano si recò, quella stessa notte, sulla via Appia. Qui incontrò papa Urbano I che lo battezzò. Solo allora, dopo essere tornato a casa, riuscì a vedere finalmente l’angelo vicino a sua moglie. Valeriano, una volta convertito, adoperò la propria vita per il Cristianesimo, e cominciò a pregare affinchè anche suo fratello Tiburzio ricevesse la grazie della conversione. E così accadde. I due, ormai ferventi fedeli, si impegnarono a seppellire le vittime della persecuzione del prefetto romano Almachio. Denunciati, furono entrambi condannati alla decapitazione.
Vennero sepolti nelle catacombe di Pretestato. Qui, le autorità romane, trovarono Cecilia pregare per suo marito e il cognato. Grave reato, per l’epoca. Tra l’altro la santa era già conosciuta da Almachio per la sua capacità di convertire tanti pagani alla fede di Cristo. Fu così che il prefetto decise di uccidere anche lei. Cecilia fu condannata ad essere bruciata, ma, come vuole la tradizione, dopo un giorno e una notte, il fuoco non riuscì a corrompere il suo corpo. Si decise, quindi, di decapitarla. Tre volte colpita, non morì subito, ma agonizzò tre giorni. Molti cristiani da lei convertiti, andarono ad intingere dei lini nel suo sangue, mentre Cecilia non desisteva nel proclamare la propria fede.
Antonio Tarallo
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