Le parole dei pontefici sul Natale
Da Giovanni XXIII a Papa Benedetto XVI
di Antonio TaralloLe parole sulla “Parola divenuta Carne”. Per usare un gioco di parole, così potremmo definire questa piccola “rassegna” di interventi dei pontefici sul significato del Natale.
Da Giovanni XXIII a Papa Benedetto XVI, le parole dei pontefici, sembrano non avere tempo: sono una riflessione, meditazione continua sul Mistero del Natale. In fondo - se ci pensiamo bene - la trascrizione di queste riflessioni, evidenzia il valore della continuità fra i vari successori di Pietro. Tutto questo, sembra quasi formare un’unica grande meditazione sulla Nascita di Gesù.
E, allora, proponiamo ai lettori di “San Francesco, patrono d’Italia”, questa del tutto particolare antologia, inedita.
Giovanni XXIII, nel suo radiomessaggio del 22 dicembre 1962, pronunciò parole di pace - lui, il pontefice della famosa enciclica “Pacem in terris” - in prossimità del Natale.
“Cercare la pace dunque, in ogni tempo: sforzarci di crearla intorno a noi perchè si diffonda nel mondo intero, difenderla da ogni rischio pericoloso e preferirla ad ogni cimento, pur di non offenderla, pur di non comprometterla. Oh! che grande impegno è questo di ogni Papa, di ora e di sempre! Lo sforzo che si accompagna a questi quattro anni del Nostro umile servizio — quale lo intendiamo e lo intenderemo usque in finem — è servizio di Servo dei servi del Signore, che è veramente Dominus et princeps pacis”.
Paolo VI, nel suo radiomessaggio del 23 dicembre 1963, pose l’attenzione sul tema della fame, dopo un augurio rivolto alla ricerca della interiorità dell’Uomo. Sembrano parole scritte, nel nostro Oggi.
“Sia per Voi tutti il Nostro augurio di buon Natale! Esso vuole entrare, innanzi tutto, nei vostri cuori, e vuole recarvi quel senso di letizia, di pace, di serenità, di fiducia, che emana precisamente da questa santa festività, e che costituisce una delle più consolanti esperienze della vita. Possa ognuno, che accoglie questo Nostro affettuoso augurio, sentirne interiormente la dolcezza ed il conforto; la felicità: oggi, gli uomini, che hanno pur tanti mezzi di così detta felicità esteriore, mancano assai spesso di felicità interiore, quella vera, quella personale, quella profonda e sincera; ed è quella che Noi per ciascuno di voi desideriamo. (...) il Nostro animo da gioioso si fa pensoso, perché appunto si chiede: quali sono oggi i grandi bisogni del mondo, ai quali i Nostri voti, per essere davvero provvidi e saggi, devono coordinarsi? I bisogni del mondo! La domanda mette le vertigini, tanto questi bisogni sono vasti, molteplici, incommensurabili. Ma alcuni fra essi sono così evidenti ed impellenti, che tutti noi, in qualche misura, li conosciamo. Il primo è la fame. Si sapeva che c’era; ma oggi è stata scoperta. È una scoperta ormai scientifica, che ci avverte che più della metà del genere umano non ha pane sufficiente. Generazioni intere di bambini ancor oggi muoiono e languono per indescrivibile indigenza. La fame produce malattia e miseria; e queste, a loro volta, accrescono la fame. Non è solo la prosperità che manca a popolazioni sterminate, è la sufficienza”.
Giovanni Paolo II, tra poesia e teologia, così descrisse la scena dei pastori alla grotta di Betlemme. Era il 24 dicembre 2003.
“Nell’angusta povertà del presepe contempliamo “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Nell’inerme e fragile neonato, che vagisce fra le braccia di Maria, “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11). Sostiamo in silenzio e adoriamo! O Bambino, che hai voluto avere per culla una mangiatoia; o Creatore dell’universo, che Ti sei spogliato della gloria divina; o nostro Redentore, che hai offerto il tuo corpo inerme come sacrificio per la salvezza dell’umanità! Il fulgore della tua nascita illumini la notte del mondo. La potenza del tuo messaggio d’amore distrugga le orgogliose insidie del maligno. Il dono della tua vita ci faccia comprendere sempre più quanto vale la vita di ogni essere umano. Troppo sangue scorre ancora sulla terra! Troppa violenza e troppi conflitti turbano la serena convivenza delle nazioni! Tu vieni a portarci la pace. Tu sei la nostra pace! Tu solo puoi fare di noi “un popolo puro” che ti appartenga per sempre, un popolo “zelante nelle opere buone”.
Benedetto XVI, nel messaggio Messaggio Urbi et Orbi del Natale 2007, si soffermò sull’umiltà della Sacra Famiglia.
“Questo è il Natale! Evento storico e mistero di amore, che da oltre duemila anni interpella gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. E’ il giorno santo in cui rifulge la “grande luce” di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per accoglierla ci vuole fede, ci vuole umiltà. L’umiltà di Maria, che ha creduto alla parola del Signore, e ha adorato per prima, china sulla mangiatoia, il Frutto del suo grembo; l’umiltà di Giuseppe, uomo giusto, che ebbe il coraggio della fede e preferì obbedire a Dio piuttosto che tutelare la propria reputazione; l’umiltà dei pastori, dei poveri ed anonimi pastori, che accolsero l’annuncio del messaggero celeste e in fretta raggiunsero la grotta dove trovarono il bambino appena nato e, pieni di stupore, lo adorarono lodando Dio. I piccoli, i poveri in spirito: ecco i protagonisti del Natale, ieri come oggi”.
Antonio Tarallo
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