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Le prime tappe della Chiesa verso una cultura ambientale. Giovanni XXIII e la sua enciclica

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Ansa - ANGELO CARCONI

Da poco si è celebrato, in Vaticano, il terzo anniversario dell’Enciclica “Laudato si’” con una conferenza dal titolo “Salvare la nostra casa comune e il futuro della vita sulla terra”. Ma bisogna dire che l’interesse della Chiesa per il tema Ambiente, ha radici lontane. Anche se non, certo, troppo lontane.



Sicuramente un passo importante, in questa “percorso”, è stato il famigerato Concilio Vaticano II, quell’apertura di finestra sul mondo per far entrare “aria nuova” all’interno della Chiesa.  Quell’apertura tanto auspicata, e poi messa in “pratica” da Giovannni XXIII. Ed è proprio da questo Pontefice che è bene iniziare questo excursus su la Chiesa e l’Ambiente.



Cinquant’anni fa il Concilio rilevava come nel nostro tempo s’imponga la domanda circa il “compito dell’uomo nell’universo” (Gaudium et Spes, 3). I padri conciliari registravano una consapevolezza diffusa: l’uomo, divenuto più “progressista” (nel senso di “progresso”, non parliamo certo del senso “politico” del termine) grazie alle conoscenze scientifiche e ai mezzi tecnici, non riesce – allo stesso tempo – a governare questo “nuovo” in suo possesso. Un esempio è l’ambiente: molte volte l’uomo si è mostrato non un custode saggio, ma uno sfruttatore sconsiderato, al punto da impoverirne le risorse o da mutarne gli equilibri.  



Il Concilio era convinto che i beni della terra non dovessero essere messi al servizio di pochi, così da divenire questi sempre più ricchi, ma di tutti, specialmente dei più poveri. Dio ha dato la terra a tutti gli uomini e a nessuno deve mancare il necessario. E’ necessario sottolineare come – alla fine – il discorso ambientale, con grande pragmatismo economico, non sia solo un “concetto” prettamente, come dire, “ideologico”: grazie al magistero della Chiesa in merito a tale argomento, la “via” diventa subito anche economica, sociale. In questo ci viene in aiuto l’Enciclica “Mater et magistra” di Giovanni XXIII, appunto. Siamo nel 1961.



Interessante notare, come questa, inizi proprio con un quadro ben dettagliato di due documenti-monumenti sociali della Chiesa. Due documenti precedenti che fanno parte di quella che viene comunemente detta “Dottrina sociale della Chiesa”: la “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII e la “Quadragesimo anno” di Pio XI. Si parla di lavoro, si parla del sociale, si parla dei diritti. Sì, insomma, in una parola: si parla di economia. E in merito a quest’ultima, l’Enciclica voleva “cogliere l’occasione per ribadire e precisare punti di dottrina già esposti dai nostri predecessori, e insieme enucleare ulteriormente il pensiero della Chiesa in ordine ai nuovi e più importanti problemi del momento”.



Vediamo alcuni punti fondamentali sull’ambiente.

Al punto 72, si legge: “Si devono conservare e promuovere, in armonia con il bene comune e nell’ambito delle possibilità tecniche, l’impresa artigiana, l’impresa agricola a dimensioni familiari, nonché l’impresa cooperativistica anche come integrazione delle due precedenti”.



Nel punto 130, troviamo espresso un concetto assai importante: la nobiltà del lavoro agricolo,   posto – per così dire – nel “respiro” del “lavoro” alto, di Dio creatore. “Siamo però convinti che i protagonisti dello sviluppo economico, del progresso sociale e dell’elevazione culturale degli ambienti agricolo-rurali devono essere gli stessi interessati, e cioè i lavoratori della terra. I quali possono facilmente costatare quanto sia nobile il loro lavoro: sia perché lo si vive nel tempio maestoso della creazione, sia perché lo si svolge spesso sulla vita delle piante e degli animali: vita inesauribile nelle sue espressioni, inflessibile nelle sue leggi, ricca di richiami a Dio creatore e provvido, sia perché produce la varietà degli alimenti di cui si nutre la famiglia umana e fornisce un numero sempre maggiore di materie prime all’industria”.


Vediamo ora, il punto 132. In questo, si fa forte il discorso della “solidarietà, della fratellanza”.   Il lavoro agricolo diviene momento di socializzazione, di fraternità, per produrre il bene comune.  E, così facendo, divenire esso stesso bene comune, in fondo.  

“Va pure ricordato che nel settore agricolo, come del resto in ogni altro settore produttivo, l’associazione oggi è una esigenza vitale; tanto più lo è quando il settore ha come base l’impresa a dimensioni familiari. I lavoratori della terra devono sentirsi solidali gli uni con gli altri e collaborare per dar vita ad iniziative cooperativistiche e ad associazioni professionali o sindacali, necessarie le une e le altre per beneficiare dei progressi scientifico-tecnici nella produzione, per contribuire efficacemente alla difesa dei prezzi dei prodotti, per mettersi su un piano di uguaglianza nei confronti delle categorie economico-professionali degli altri settori produttivi”.



Fino a questo punto, abbiamo potuto snocciolare nell’Enciclica “Mater et magistra” l’aspetto sociale-economico dell’agricoltura, del rapporto tra Uomo e Natura. Ma, al 135, si evidenzia una affermazione che, letta nell’Oggi di Papa Francesco, sembra davvero un ponte – di non poco conto – fra i due pontefici.

“Nel lavoro agricolo la persona umana trova mille incentivi per la sua affermazione, per il suo sviluppo, per il suo arricchimento, per la sua espansione anche sul piano dei valori dello spirito.    È quindi un lavoro che va concepito e vissuto come una vocazione e come una missione; come una risposta cioè ad un invito di Dio a contribuire all’attuazione del suo piano provvidenziale nella storia; e come un impegno di bene ad elevazione di se stessi e degli altri e un apporto all’incivilimento umano”.



Si parla di “piano provvidenziale nella storia”. Papa Francesco, grazie proprio all’attenzione  sul tema ambientale, sembra proprio che stia cercando di conservare  – come meglio possibile – quel piano, anzi quel “Piano”. Accendere, ancor di più dei diversi trattati ambientali,  delle “spie” che, da tempo, ci stanno avvertendo della crisi del “sistema Pianeta”. Ed è questa la sfida al Mondo contemporaneo che il Pontefice sta ponendo, attraverso svariati interventi in merito. Per non parlare, ovviamente, dell’Enciclica “Laudato si’”. Ed è per questo che quel punto 135 dell’Enciclica di Papa Roncalli sembra avere proprio un “non so che” di premonitore, vista la situazione odierna.   



E’ fondamentale ricordare quel qualcosa che il Mondo intero sta dimenticando:l’“impegno di bene ad elevazione di se stessi e degli altri e un apporto all’incivilimento umano”.



Antonio Tarallo

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