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Maximum Illud, la missione ad gentes per rinnovare la Chiesa 'di destra' e 'di sinistra'

Prima parte di una riflessione del direttore di AsiaNews sulla Chiesa contemporanea alla luce della Maximum Illud

Credit Foto - ANSA/GIUSEPPE LAMI

Il prossimo 30 novembre si celebra il centenario della Maximum Illud, una Lettera apostolica di Benedetto XV (1854-1922). Papa Francesco ha voluto ricordare questo evento lanciando il Mese missionario straordinario, celebrato l’ottobre scorso. Nell’ottobre 2017, condividendo quell’idea in una lettera inviata al prefetto di Propaganda Fide, card. Fernando Filoni, Francesco ha sottolineato il motivo: “Alimentare l’ardore dell’attività evangelizzatrice della Chiesa ad gentes" e “riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale".

La Maximum Illud è una lettera che papa Benedetto XV ha diffuso a circa un anno dalla fine della Grande guerra (quella che lui stesso ha definito “l’inutile strage”). Se nel leggerla si supera lo stile un po’ ottocentesco – si parla di “infedeli”, di “barbarie” delle culture extraeuropee, ecc. – si trova che essa è animata da un grande afflato missionario.

In essa il papa, rivolgendosi ai fedeli del mondo intero, invece di piangere sulle rovine della guerra appena finita, chiede alla Chiesa di riprendere la missione universale. Egli sottolinea che tutti i cristiani devono essere impegnati in quest’opera. Addirittura prende in esame ad uno ad uno chi deve impegnarsi e come: i vescovi, che non devono preoccuparsi solo delle loro diocesi, ma anche di quelle vicine e di tutte le altre diocesi del mondo; gli amministratori apostolici, che non devono stare soltanto nella loro residenza, ma andare ad incontrare tutti i missionari che sono nel loro territorio; i missionari e le missionarie con la predicazione, il catechismo, le scuole, gli ospedali; i sacerdoti; i laici.

Egli sottolinea di continuo che tutto questo impegno nasce dall'amore della Trinità per la salvezza dell’uomo. Tale sottolineatura rende vicina la Maximu Illud a papa Francesco e all’Evangelii Gaudium (EG). Nell’EG si parla proprio della missione come sgorgante dal cuore della Trinità, da questo amore tenerissimo, profondo, appassionato di Dio verso l’uomo e di cui la Chiesa è continuatrice. E se la Chiesa è continuatrice, vuol dire che tutti i battezzati sono continuatori. Ed è ciò che papa Francesco vuole rimettere in luce.

Nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno, egli afferma che “la profetica lungimiranza della sua [di Benedetto XV] proposta apostolica mi ha confermato su quanto sia ancora oggi importante rinnovare l’impegno missionario della Chiesa, riqualificare in senso evangelico la sua missione di annunciare e di portare al mondo la salvezza di Gesù Cristo, morto e risorto”. E nella lettera al card. Filoni: “Quanto stava a cuore a Benedetto XV quasi 100 anni fa e quanto il documento conciliare Ad Gentes ci ricorda da più di 50 anni, permane pienamente attuale”.

Nella lettera a Filoni, il papa cita anche altri documenti (Redemptoris Missio) per riaffermare che occorre un rinnovato impegno missionario nella convinzione che la missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana. Tale nuovo entusiasmo nel riprendere le sorti della passione missionaria verso il mondo, serve pure a risvegliare e rimettere in stato di missione tutta la vita della Chiesa: attraverso la missione, noi convertiamo le nostre comunità; nel vivere la missione ci si converte, si cambia.

Il grigio pragmatismo. Attraverso la missione si corregge il pericolo che il papa cita nella EG: il rischio di vivere tutto come “grigio pragmatismo” (n. 83), fare le cose come burocrati, senza nessuna tensione dentro. Benedetto XV e papa Francesco vogliono invece che si comprenda che la missione è l'identità della Chiesa, la missione è ciò che definisce la Chiesa; che la Chiesa è la continuatrice della missione di Gesù. Del resto, come appare nel vangelo di san Giovanni, Gesù si definisce il “mandato” dal Padre: Gesù non aveva nessun altro orizzonte nella vita che quello di essere missionario, di portare l'amore del Padre nel mondo.

Papa Francesco vuole che su questo nucleo riscopriamo la missione universale, la nostra identità come missionari, o come lui dice, di “discepoli missionari”. Perché “discepoli missionari”? Perché il missionario non è tanto la persona che sa tutte le cose e allora le va a dire agli altri, ma è colui che si fa ammaestrare, cresce nella fede e nell'amore, nel rapporto con Cristo; segue Cristo e proprio per questo riesce a donare qualcosa all’esterno di sé.

“Discepolo missionario”: vuol dire che uno impara sempre da Cristo, e proprio perché riceve tutto da Cristo continuamente riesce a donare.

Per il papa, la riscoperta della dimensione cattolica e universale della missione e quella della identità del cristiano - essere discepolo missionario - creeranno senz'altro conseguenze su tutte le strutture ecclesiali, le metodologie pastorali e le prospettive di evangelizzazione.

di Bernardo Cervellera - direttore di Asia News



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