Mons. Pompili: imparare da Maria a essere più liberi dal 'si dice'
Le parole del vescovo di Rieti nell'omelia in Cattedrale
Un invito a imparare la libertà. È stato l’augurio per il nuovo anno che il vescovo Domenico Pompili ha rivolto a quanti si sono ritrovati in Cattedrale per vivere insieme la solennità di Maria santissima Madre di Dio. Monsignor Pompili ha preso spunto da un passo della Lettera ai Galati per ricordare che ogni religione ha i suoi riti di passaggio, come è la circoncisione per l’ebraismo. Sono momenti decisivi della vita perché il rito assegna il nome al bambino, e così facendo ne indica il destino. Gesù, ad esempio, vuol dire “Dio salva”. Prima ancora, però, il nome fa di ciascuno «qualcuno, e non qualcosa», ne fa – per usare le parola di Paolo – un figlio, e non uno schiavo, ne decreta cioè la libertà.
«Ma che significa essere liberi?», ha domandato don Domenico: «Perché siamo tutti innamorati della libertà, ma poi ci sembra di dover dar ragione a Pirandello, che ci vede su un palcoscenico a rappresentare il personaggio che gli altri attendono da noi?». Il punto, secondo il vescovo, è che la libertà non è mai qualcosa di conquistato una volta per tutte, ma un percorso: «la libertà non è una foto, ma un film, non è un momento in cui posso dire “finalmente sono libero”, ma un processo, che dura tutta la vita e che presenta almeno tre fasi».
La prima consiste nel liberarsi dai condizionamenti esteriori, nel «tirare fuori il nostro io a dispetto dei condizionamenti esteriori». Come accade durante l’adolescenza, quando si dicono un sacco di no per ribadire se stessi, «per far emergere il proprio io rispetto alla famiglia, le consuetudini, le convenzioni».
Una fase tanto laboriosa quanto quella che segue è delicata, perché «ci richiede di affrancarci da noi stessi», da quell’ego che «si trasforma spesso in egoismo, narcisismo, vittimismo». E per questa via giunge al terzo momento, alla maturazione di quella libertà che non è più da qualcosa o qualcuno, ma per qualcosa e qualcuno.
È il caso di Maria, che nella sua libertà di giovane ragazza ha scelto per la propria vita di accogliere un figlio misterioso, insospettabile. Nell’icona di Maria, don Domenico ha colto l’invito a non affidare alla fortuna gli auspici per il nuovo anno, ma alla benevolenza di Dio, sotto il cui sguardo «dobbiamo diventare tutti più liberi dal “si dice” e “si pensa”».
Ci si può riuscire concedendosi qualche momento di solitudine, «in cui ritrovare noi stessi: per sottrarci alle pretese del nostro ego, e concentrarci nel fare qualcosa per qualcuno. Innanzitutto nel nostro lavoro quotidiano». Un augurio avvolto nella benedizione tratta dal Libro dei Numeri: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto, e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».
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