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Paolo VI e il primo passo sulla luna

pochi sanno che fra i numerosi spettatori “incollati allo schermo” ve ne era uno, assai illustre: ed era proprio Paolo VI

di Antonio Tarallo
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“Qui parla a voi astronauti, dalla sua specola di Castel Gandolfo, vicino a Roma, il Papa Paolo VI. Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni! Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l'inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e le nostre preghiere. Vi saluta con tutta la Chiesa cattolica il Papa Paolo VI”. E’ sempre un equilibrato misto tra poesia e “retorica” (dove il termine “retorica” ha tutto il senso alto del “bel dire”, quello più autentico e non nell’eccezione negativa a cui siamo abituati) il linguaggio che Papa Montini utilizzava. Ed è con questo ricercato linguaggio, con queste parole-versi, che Papa Montini, aveva salutato gli astronauti americani che alle 4 e 57 minuti (ora italiana) di lunedì 21 luglio 1969, avevano messo piede, per la prima volta nella Storia, sul suolo lunare. Armstrong, che discende con prudenza la scaletta del Lem, e mette finalmente piede su quel suolo colmo di crateri. La diretta televisiva è nell’immaginario collettivo di tutti. Ma pochi sanno che fra i numerosi spettatori “incollati allo schermo” ve ne era uno, assai illustre: ed era proprio Paolo VI. Il pontefice si era recato verso le 22 di domenica 20 luglio alla Specola di Castel Gandolfo dove aveva osservato la luna, attraverso il telescopio. Accanto a lui, ad “istruirlo scientificamente”, vi era l’allora direttore dell'osservatorio astronomico vaticano, padre O' Connell. Dopo questo primo “contatto lunare”, il pontefice, aveva seguito – appunto – davanti al televisore le fasi dell'atterraggio con il sostituto della segreteria di Stato Mons. Benelli. Questa, in breve, è la prima parte della storia.

Ma non fu l'unico intervento del pontefice in merito alla storica impresa. Facciamo un salto indietro e andiamo alla domenica precedente. Ore dodici, ed è il momento dell’Angelus. Sempre a Castel Gandolfo. Il papa bresciano, in quella occasione, aveva invitato tutti i fedeli a pregare per la missione dell’Apollo 11 auspicando che la conquista dello spazio potesse essere anche un vero progresso per l'umanità.  Un Mondo – ricordiamolo – afflitto da diverse guerre. Papa Montini aveva posto l’accento sulla necessità di non dimenticare, “nell'ebbrezza di questo giorno fatidico, il bisogno e il dovere che l'uomo ha di dominare sé stesso”. Paolo VI avrebbe poi ricevuto gli astronauti della missione, in visita a Roma, il 16 ottobre 1969. Ecco il suo saluto: “Con la più grande gioia nel cuore diamo il benvenuto a voi, che superando le barriere dello spazio, avete messo piede su un altro mondo del Creato”.  E aggiunse: “L'uomo ha la tendenza naturale ad esplorare l'incognito, a conoscere il mistero; ma l'uomo ha anche timore dell'incognito. Il vostro coraggio ha superato questo timore e, con la vostra intrepida avventura, l'uomo ha compiuto un altro passo verso una maggiore conoscenza dell'universo: con le sue parole, signor Armstrong: un passo gigante per l'umanità”. Gli astronauti regalarono, in quella occasione, a Papa Montini, la riproduzione della targa lasciata sulla luna e il microfilm con i messaggi dello stesso Santo Padre e dei Capi di Stato, ugualmente lasciati sul suolo lunare.  

Sempre legato a quell’avvenimento che segnò il corso della Storia, troviamo altri due interventi.  Sicuramente meno celebrativi, e più “riflessivi” sul rapporto Uomo-Spazio, Uomo-Universo. Procediamo in ordine.

Udienza generale del 21 maggio 1969. Il Papa, seguendo con attenzione, i preparativi dell’Apollo 11,  riserva una lunga meditazione su questo argomento. Lo fa, sempre con il suo stile inconfondibile:  “In certe notti limpide d’estate abbiamo forse anche noi, contemplando le innumerevoli stelle che trapuntano di scintille la volta immensa del cielo, pensato o tentato di pensare al mistero dell’universo; forse la meravigliosa e misteriosa visione esteriore ha preso voce interiore con le note elegiache del canto notturno del pastore leopardiano, errante nelle solitudini sconfinate dell’Asia; forse il senso incombente dell’infinito, che vince lo spazio ed il tempo, ha dato anche a noi un fremito metafisico dell’oceano dell’essere, in cui la nostra minima vita si trova, ma che vita, coscienza, spirito si chiama”.

E ancora, in piena e densa “lode al genio umano”, il pontefice intesse una vera e propria esaltazione della Scienza dell’Uomo. Una Umanità, specchio del Divino:

“Ammirare, ammirare dobbiamo. E per non rendere vano questo felice sforzo del nostro spirito, su due sentieri, Figli carissimi, Noi vi esortiamo a dirigerlo. Verso l’uomo, primo sentiero della nostra ammirazione. Chi è l’uomo, capace di opere simili? di concepirle, di organizzarle, di compierle, di commisurarle alle sproporzionate difficoltà ch’esse presentano, e alla sempre piccola statura del proprio essere, piccolo, limitato e vulnerabile? Come possiede tanta capacità di studio, di conoscenze, di dominio scientifico e tecnico sulle cose, sul mondo? E come, debole e condizionato com’è, trova il coraggio di osare simili imprese? Ancor più che la faccia della luna, la faccia dell’uomo s’illumina davanti a noi; nessun altro essere a noi noto, nessun animale, anche più forte e più perfetto nei suoi istinti vitali, può essere messo a confronto con l’essere prodigioso che noi uomini siamo. V’è qualche cosa nell’uomo che supera l’uomo, v’è un riflesso che sa di mistero, che sa di divino”.

In occasione del lancio spaziale, in un’altra udienza, questa volta datata 16 luglio, Papa Montini parla nuovamente del Cosmo, dell’Astronomia, con queste parole:

“Questa scoperta nuova del mondo creato è assai importante per la nostra vita spirituale. Vedere Dio nel mondo, e il mondo in Dio: che cosa v’è di più estasiante? Non è questo il lume amico e stimolante che deve sorreggere la veglia scientifica dello studioso? Non è così che fugge il terrore del vuoto, che il tempo smisurato e lo spazio sconfinato producono intorno al microcosmo, che noi siamo? la nostra insondabile solitudine, cioè il mistero dei nostri destini, non è così colmata da un’ondata di Bontà viva e d’amore? Non vengono alle nostre labbra le familiari, ma sempre superlative parole, insegnate a noi da Cristo: «Padre nostro, che sei nei cieli» ? Sì, Figli carissimi, vengano alle nostre labbra queste abissali parole, mentre contempliamo la grande impresa dei primi astronauti, che metteranno il piede sul silenzioso e pallido satellite della terra, sfidando inaudite difficoltà, quasi cercando d’onorare l’immensa opera del Creatore; e ripetiamole per loro, per l’umanità, per noi”.



Antonio Tarallo

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