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Papa: “Gesù non faceva come i leader che si attaccano troppo alla gente”

sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto

di IACOPO SCARAMUZZI
Credit Foto - ANSA/GIUSEPPE LAMI

«È un pericolo dei leader attaccarsi troppo alla gente e non prendere distanza»: lo ha rimarcato Papa Francesco che, introducendo un nuovo ciclo di catechesi dedicata al Padre Nostro, all’udienza generale ha sottolineato come, pur essendo acclamato dalle folle, Gesù, al contrario, non era interessato al «successo plebiscitario», per cui «pregava con intensità nei momenti pubblici, condividendo la liturgia del suo popolo, ma cercava anche luoghi raccolti, separati dal turbinio del mondo, luoghi che permettessero di scendere nel segreto della sua anima», in una «intimità con il Padre» di cui non era «geloso», diventando così «maestro di preghiera dei suoi discepoli, come sicuramente vuole esserlo per tutti noi».
 

«Nonostante l’urgenza della sua missione e l’impellenza di tanta gente che lo reclama, Gesù sente il bisogno di appartarsi nella solitudine e di pregare», ha detto Jorge Mario Bergoglio introducendo, in Aula Paolo VI, il nuovo ciclo dedicato alla preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli dopo aver concluso, la scorsa settimana, quello sui dieci Comandamenti. Il Vangelo di Marco racconta che la giornata inaugurale di Gesù a Cafarnao «si era conclusa in maniera trionfale»: «il Messia predica e guarisce» e «si realizzano le antiche profezie e le attese di tanta gente che soffre» che compone una folla «ancora piccola se paragonata a tante altre folle che si raccoglieranno attorno al profeta di Nazareth: in certi momenti si tratta di assemblee oceaniche, e Gesù è al centro di tutto, l’atteso dalle genti, l’esito della speranza di Israele». 

«Eppure – ha notato il Papa – lui si svincola; non finisce ostaggio delle attese di chi ormai lo ha eletto come leader. Fin dalla prima notte di Cafarnao, dimostra di essere un Messia originale. È un pericolo dei leader – ha sottolineato Francesco – attaccarsi troppo alla gente e non prendere distanza. Nell’ultima parte della notte, quando ormai l’alba si annuncia, i discepoli lo cercano ancora, ma non riescono a trovarlo. Finché Pietro finalmente lo rintraccia in un luogo isolato, completamente assorto in preghiera. Gli dice: “Tutti ti cercano!”. L’esclamazione – ha notato ancora il Papa – sembra essere la clausola apposta ad un successo plebiscitario, la prova della buona riuscita di una missione. Ma Gesù dice ai suoi che deve andare altrove», che «non deve mettere radici, ma rimanere continuamente pellegrino sulle strade di Galilea e anche pellegrino verso il Padre, cioè pregando. In cammino di preghiera: Gesù prega». 

In qualche pagina della Scrittura, ha sottolineato Francesco, «sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto», e nel Getsemani, quando viene catturato per essere crocifisso, Gesù «sembra trovare il suo senso nel continuo ascolto che rende al Padre» con «una preghiera capace di sostenere il cammino della croce. Ecco – ha proseguito il Papa – il punto essenziale: Gesù pregava. Gesù pregava con intensità nei momenti pubblici, condividendo la liturgia del suo popolo, ma cercava anche luoghi raccolti, separati dal turbinio del mondo, luoghi che permettessero di scendere nel segreto della sua anima: è il profeta che conosce le pietre del deserto e sale in alto sui monti». 

Le ultime parole di Cristo prima di spirare sulla croce, ha notato ancora il Papa, «sono parole dei salmi, cioè della preghiera dei giudei: pregava con le preghiere che la mamma gli aveva insegnato. Gesù pregava come prega ogni uomo del mondo. Eppure, nel suo modo di pregare, vi era anche racchiuso un mistero, qualcosa che sicuramente non è sfuggito agli occhi dei suoi discepoli, se nei Vangeli troviamo quella supplica così semplice e immediata: “Signore, insegnaci a pregare”. Loro vedevano Gesù pregare e avevano voglia di imparare come si fa. E Gesù – ha detto Francesco – non si rifiuta, non è geloso della sua intimità con il Padre, ma è venuto proprio per introdurci in questa relazione con il Padre. E così diventa maestro di preghiera dei suoi discepoli, come sicuramente vuole esserlo per tutti noi». 

Da qui l’invito del Papa: «Anche noi dovremmo dire: “Signore insegnami a pregare”, anche se forse preghiamo da tanti anni, dobbiamo sempre imparare». La Bibbia, infatti, «ci dà anche testimonianza di preghiere inopportune, che alla fine vengono respinte da Dio: basta ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano. Solamente quest’ultimo torna a casa dal tempio giustificato, perché il fariseo era orgoglioso, gli piaceva che la gente lo vedesse pregare e faceva finta di pregare ma il cuore era freddo. Disse Gesù: “Questo non è giustificato perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato”. Il primo passo è essere umile, andare dal Padre, dalla Madonna, dire: “Guardami, sono peccatore, debole, cattivo”. Ognuno sa cosa dire… ma sempre si comincia con l’umiltà, il Signore ascolta, la preghiera umile è ascoltata dal Signore. Perciò, iniziando questo ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, la cosa più bella e più giusta che tutti quanti dobbiamo fare è di ripetere l’invocazione dei discepoli: “Maestro, insegnaci a pregare!”. Sarà bello in questo tempo di Avvento ripeterlo: “Signore insegnami a pregare”».

 

A conclusione della catechesi, il Papa ha salutato tra gli altri i redattori della sezione polacca della Radio Vaticana, che in questi giorni festeggia l’80esimo anniversario della fondazione e, in vista della XIX Giornata di Preghiera e di Aiuto alla Chiesa dell’Est che si celebra domenica prossima sempre in Polonia, ha detto: «Con riconoscenza penso a tutti coloro che con la preghiera e le opere concrete, sostengono le comunità ecclesiali dei paesi vicini». (Vatican Insider).



IACOPO SCARAMUZZI

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