Pensieri di un giovane parroco
Nelle nostre relazioni odierne siamo abituati ad una velocità di risposta che azzera il tempo
«Ieri sera tornando a casa stavo ripensando alla lettera che il giorno prima il Papa aveva spedito a me e a tutti i sacerdoti del mondo; quando entro in salotto trovo mia madre e mia nonna davanti alla televisione che vedevano un film e sento questa battuta di uno dei personaggi: “Una lettera è bella perché chiede tempo a chi la scrive e a chi la legge”. Una piccola grande verità: chi scrive una lettera ci pensa bene, e anche chi la legge fa lo stesso».
Don Tiziano Cantisani parroco qui a Maratea, la bella cittadina lucana in cui villeggio, ci tiene a raccontarmi questo episodio, forse per guadagnare tempo. «Nelle nostre relazioni odierne siamo abituati ad una velocità di risposta che azzera il tempo, la distanza, anche la giusta distanza per il pensiero. Invece una lettera scritta recupera questo tempo, e la lettera del Papa fa questo effetto, direi che lo vuole, lo richiede. Ed io vorrei avere il tempo di leggerla, studiarla, “ruminarla”».
E invece, è la terribile legge del giornalismo, non consento al giovane sacerdote (classe 1984) di “ruminare” e gli chiedo una sensazione “a caldo”, cosa ha provato leggendo la lettera del Papa. «Paterno, l’ho trovato un testo paterno, che è il contrario di paternalista. Cioè non è un testo che “cala dall’alto”, ammonitorio, ma è scritto da una persona che ha condiviso e condivide ancora la medesima condizione che vivono i destinatari della lettera, noi presbiteri. È un discorso da padre, quello che fa il Papa, chiaro e preciso, che vuole indirizzare verso una vita spesa per il servizio a Dio e al popolo di Dio, ma partendo da questa condivisione».
Anche sui contenuti don Tiziano è stato colpito dalla lettera che prevede a fianco ad alcuni temi “tipici” del Papa come la gioia, il posto del pastore in mezzo al popolo, i pericoli insiti nella missione, anche qualche elemento di novità. Ad esempio il dolore, che è uno dei quattro grandi temi su cui ruota tutto il documento.
«Un discorso così completo su questo tema non lo ricordo, forse in qualche omelia aveva già parlato delle nostre fragilità e nella Evangelii gaudium aveva parlato delle tentazioni e dei rischi ma ora ha centrato il punto in modo diretto, offrendo una nuova chiave di lettura: il dolore che arriva per determinate occasioni non deve chiudersi nella desolazione ma aprirsi alla forza dello Spirito Santo. Noi spesso il dolore lo attribuiamo a qualcosa di diverso ma non alle nostre fragilità; e il Papa ha ragione: capita di sentirsi inadempienti e sovraccaricati, ma non sempre si affronta questa condizione come occasione che può diventate punto di incontro con la grazia del Signore. Mi ha molto colpito il passaggio in cui cita Giobbe parlando della nostra missione “non come teoria o conoscenza intellettuale o morale di ciò che dovrebbe essere, bensì come uomini che immersi nel dolore sono stati trasformati e trasfigurati dal Signore, e come Giobbe arrivano ad esclamare: ‘Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto’ (42,5). Senza questa esperienza fondante, tutti i nostri sforzi ci porteranno sulla via della frustrazione e del disincanto”».
Chiedo a don Tiziano se queste intense parole del Papa hanno un riscontro concreto nella vita quotidiana di un giovane prete e la risposta non si lascia attendere: «Senz’altro, per questo dicevo che sembra scritta da un padre ma che è al tempo stesso fratello perché conosce e vive la nostra esperienza. Ad esempio quando il Papa parla della “maschera” che spesso si assume per non lasciarsi coinvolgere, questa è una tentazione verissima, il voler prendere le distanze. Lo vedo quando sperimento, in me e negli altri fratelli, la cosiddetta “sindrome del burn-out”, uno dei segnali è il prendere le distanze, assumere una freddezza di fronte al dolore delle persone che incontriamo, un atteggiamento che sembra saggio ma in realtà è cinico, disumanizzante. Ci diciamo mentalmente: “vabbè, facciamo questo altro funerale”, così come una pratica burocratica, e questo ci procura un finto sollievo».
Proviamo con don Tiziano a rileggere il testo attraverso i quattro grandi temi, dopo il dolore, la gratitudine. «Anche qui mi ha molto colpito il Papa che ci ringrazia per la nostra scelta, questa scelta controcorrente contro la tendenza “gassosa” della società e, ovviamente, mi ha fatto molto piacere. In precedenza più volte mi è capitato di vivere strane situazioni per cui il Papa aveva detto qualcosa, o meglio i mass media gli facevano dire qualcosa e in parrocchia succedevano cose strane: fedeli che ti rimproveravano facendo seguito ai rimproveri del Papa o ti incalzavano su temi come la comunione ai divorziati e così via. Invece qui ora c’è un Papa che ringrazia. In una società dove tutto è dovuto, il fatto che ci si fermi a ringraziare è inusuale. Qualche anno fa sono andato a prestare servizio presso la comunità per i tossicodipendenti “Emmauel” fondata dal padre gesuita Mario Marafioti. All’inizio, dopo essermi presentato, sono stato ringraziato per il semplice fatto di essere lì. Il fatto mi ha colpito e mi ha colpito il fatto che mi ha colpito, come se non ci fossi più abituato nemmeno io».
Terzo punto, il coraggio. «Leggendo la lettera del Papa ho riflettuto sul fatto che non si deve aver coraggio, quanto piuttosto confidare in qualcuno che ci incoraggia. Riflettendo sulla mia vita posso dire che non ho avuto veramente coraggio, la mia scelta è stata frutto di un processo graduale, direi quasi una lucida follia, non il frutto di un coraggio “tutto mio”. Non lo si ha, il coraggio, di per sé, ma nasce da una presenza che dà coraggio. E il Papa lo spiega bene quando parla del rischio di una “tendenza prometeica”, il coraggio che diventa una tentazione, un atteggiamento di superbia, non a caso cita san Paolo che riconosce di essere forte nella debolezza, che l’unica sua forza è Cristo che vive in lui».
Infine la lode. «Non sempre si è capaci di lodare Dio; certamente nei momenti belli è facile, ma poi, nei momenti difficili? Eppure il Vangelo è chiaro su questo punto: beati voi quando vi insulteranno... Penso che questi quattro punti siano legati da un nodo cruciale espresso nella riflessione sul dolore che si apre alla gioia e alla speranza della resurrezione. Mi piace questo rovesciamento dei significati, questa visione paradossale, sono grato al Papa per questo testo».
Ci stiamo per salutare con don Tiziano ma lo vedo ancora intento a “ruminare” la lettera, vuole aggiungere qualcosa: «Mi colpisce questo insistere sul popolo di Dio. Il Papa ci sta dicendo, a me e a ogni sacerdote, che non siamo mai soli e che dobbiamo mantenere saldi i legami con Gesù da una parte e con il popolo dall’altra. In questo la preghiera è un elemento fondamentale. Non solo, il Papa ci sta dicendo che dobbiamo fidarci del popolo, perché il popolo ha fiuto. Questo è un piccolo rovesciamento. Per troppo tempo il popolo è stato abituato al fatto che doveva seguire il pastore, ora i termini sono, in parte, rovesciati; deve quindi crescere una nuova mentalità, un nuovo modo di sentirsi Chiesa. Ci vuole tempo! Ho la sensazione che il concilio Vaticano II deve ancora dare i frutti, un po’ tutto questo è normale, penso che così è stato per tutti i grandi concilii in passato. Oggi il Vaticano II è ancora acerbo e ad alcuni può sembrare una minaccia; il concetto di corresponsabilità, ad esempio, mette in crisi l’idea dell’autoritarismo. Questo è già nel Vangelo: “Non sia così tra voi, ma il più grande sia l’ultimo e si metta a servizio...”. Penso sempre al tema del dolore: la missione della chiesa, lo dice bene l’incipit della Gaudium et spes, è proprio nel condividere le gioie, le speranze ma anche le angosce e i dolori degli uomini. Non si capisce questa lettera senza conoscere il concilio». (Andrea Monda - Osservatore Romano)
Commenti dei lettori
NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO
Lascia tu il primo commento
Lascia il tuo commento
la cripta
di San Francesco
Rivista
San Francesco