San Francesco al ritorno dall’Egitto
di Mons. Felice Accrocca, Arcivescovo di Benevento
Nel 1219 Francesco partì per le terre d’Oltremare. Giacomo da Vitry, in una lettera del 1220, assicura che egli, «acceso dallo zelo della fede, non ebbe timore di portarsi in mezzo all’esercito dei nostri nemici e per alcuni giorni predicò ai Saraceni la parola di Dio, ma con poco profitto»; qualche tempo dopo, Giacomo parlò ancora di quell’incontro, scrivendo che Francesco «era stato preso da tale eccesso di amore e di fervore di spirito che volle recarsi, intrepido e munito solo dello scudo della fede, nell’accampamento del Sultano d’Egitto».
Giordano da Giano narra invece che il Santo, messosi alla ricerca del sultano Malik al-Kamil, «prima di giungere a lui subì molte ingiurie e offese, e non conoscendo la loro lingua gridava tra le percosse: Soldan, Soldan. E così fu condotto da lui e fu onorevolmente accolto e curato molto umanamente nella sua malattia».
A trovarsi di fronte furono due personaggi tanto diversi ma, sotto alcuni aspetti, vicini: Francesco si recò nell’accampamento avversario «munito solo dello scudo della fede»; Malik al-Kamil lo accolse «onorevolmente» e lo curò «molto umanamente nella sua malattia». Nessuno dei due abdicò alla propria fede, ma non fu negata la possibilità di un confronto, che si protrasse «per alcuni giorni».
Peraltro, dalmondo islamico Francesco apprese qualcosa di cui cercò poi di fare tesoro. L’invito presente nella Lettera ai reggitori dei popoli a far annunciare ogni sera, «mediante un banditore o qualche altro segno, che all’onnipotente Signore Iddio siano rese lodi e grazie da tutto il popolo», non può ritenersi infatti come il tentativo d’introdurre tra i cristiani la consuetudine dell’invito alla lode divina lanciato più volte al giorno dai muezzin dall’alto dei minareti?
A distanza di otto secoli, dobbiamo riconoscere che è ancora questa la profezia per il futuro, alla quale sono chiamati, in primo luogo, tutti i figli di Abramo – ebrei, cristiani e musulmani – e tutti i credenti in Dio. Una via che chiede rispetto reciproco, accoglienza, conoscenza dell’altro; una via che ricerca la verità attraverso il confronto e il dialogo, aborrendo ogni forma di violenza.
Mons. Felice Accrocca, Arcivescovo di Benevento
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