Sinodo, appello di un indigeno: restiamo uniti, Gesù è il centro che ci unisce
Per i popoli indigeni il Sinodo è una speranza
“Al centro c’è Gesù Cristo. Gesù ci unisce”. Hanno la forza di un accorato appello e l’intensità di una supplica le parole pronunciate dal rappresentante di un popolo indigeno durante la conferenza stampa. A pronunciarle è stato Delio Siticonatzi Camaiteri, membro del popolo Ashaninca, un gruppo etnico amazzonico del Perù. Così ha risposto alla domanda di un giornalista sulla proposta, emersa durante i lavori sinodali, di uno specifico rito amazzonico:
“Vi vedo un po’ inquieti come se non foste in grado di capire quello di cui l’Amazzonia ha bisogno. Abbiamo la nostra visione del cosmo, il nostro modo di guardare il mondo che ci circonda. La natura ci avvicina di più a Dio. Ci avvicina guardare il volto di Dio nella nostra cultura, nel nostro vivere. Noi come indigeni viviamo l’armonia con tutti gli esseri viventi. Vedo che non vi è chiara l’idea che avete di noi indigeni. Vi vedo preoccupati, con dubbi di fronte a questa realtà che noi cerchiamo come indigeni. Non indurite il vostro cuore, dovete addolcire il vostro cuore. Questo è l’invito di Gesù. Ci invita a vivere uniti. Crediamo in un solo Dio. Dobbiamo restare uniti. Questo è quello che noi desideriamo come indigeni. Abbiamo i nostri riti, però questo rito deve incardinarsi nel centro che è Gesù Cristo. Non c’è altro da discutere su questo tema. Il centro che ci unisce in questo Sinodo è Gesù Cristo". (Delio Siticonatzi Camaiteri, membro del popolo Ashaninca)
Per i popoli indigeni il Sinodo è una speranza. Delio Siticonatzi Camaiteri ha anche spiegato che il Sinodo è una speranza per gli indigeni. L’Amazzonia, ha detto, è una realtà immensa “che soffre e urla perché non abbiamo saputo valorizzarla”. Riponiamo le nostre speranze nel Sinodo perché finora, ha aggiunto, non siamo stati ascoltati. “Ci uccidono – ha spiegato - perché pensano che non abbiamo diritti”. Questo Sinodo, ha sottolineato Delio Siticonatzi Camaiteri, sancisce l’apertura di uno spazio di dialogo e di incontro per difendere l’Amazzonia. Uno spazio non solo per l’Amazzonia ma per il mondo intero.
Un cammino lungo il solco del discernimento. Rispondendo ad una domanda sulle aspettative legate al Sinodo, mons. Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo di Belém do Pará, in Brasile, ha detto: “Non siamo qui come se ci fosse una lista di desideri, o di decisioni che devono essere prese nella direzione che io o altre persone possano desiderare”. “Siamo qui per fare un cammino insieme e cerchiamo di metterlo nelle mani del Santo Padre. “Sono molto fiducioso, nutro grandi speranze”.
Il celibato è un dono. “Il celibato è la grande bellezza della vita di un sacerdote, che però va coltivato perché è un tesoro che coltiviamo in vasi di argilla”. Ha usato queste parole il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, per descrivere ai giornalisti il dono del celibato. È un “dono di Dio, che va accolto”. “La Chiesa - ha ricordato - è rimasta l’unica istituzione che predica un impegno per sempre: per i sacerdoti, la vita consacrata e il matrimonio”. ”Il dono del celibato – ha sottolineato il porporato – rappresenta oggi per i giovani e anche per i sacerdoti, una grande sfida personale”.
La vocazione ha bisogno di equilibrio. “Preghiera, disciplina e impegno personale”, ha inoltre detto il cardinale Stella, sono i tre requisiti per vivere il celibato. “Dobbiamo parlare ai giovani e presentare loro - ha affermato il porporato - le esigenze del sacerdozio latino come grande impegno e grande bellezza”. La vocazione, per essere accolta, “ha bisogno dell’equilibrio di una mente sana e di una affettività trasparente”. “Quello che il Sinodo potrà dire sui nuovi cammini di ministerialità - ha concluso - lo lasciamo al discernimento dei padri sinodali e al discernimento finale del Santo Padre”.
Rito amazzonico. Il prefetto della Congregazione per il clero ha anche risposto ad una domanda legata alla proposta di un rito amazzonico: “È naturale – ha detto - che dal Sinodo venga questa iniziativa: i popoli amazzonici sentono la necessità di poter comunicare con la loro lingua, i loro simboli e la loro ritualità locale. L’Amazzonia è una realtà plurietnica, plurilinguistica, composta da centinaia di etnie e centinaia di lingue. C’è un’aspettativa in questa materia e anche una necessità concreta: vedremo cosa dirà il Sinodo”.
Fede e inculturazione. “Vogliamo poter esprimere la nostra fede nella nostra cultura e nella nostra lingua”, ha spiegato Eleazar López Hernández, sacerdote indigeno cattolico appartenente al popolo zapoteca (Messico). “La Chiesa - ha affermato - ha bisogno di generare volti specifici nei quali arrivi una proposta cristiana”. Il tema della spiritualità indigena è stato infine al centro dell’intervento di suor Mariluce dos Santos Mesquita, religiosa appartenente all’etnia Barassana (Brasile): “Papa Francesco sta ascoltando e proponendo di riconoscere, di approfondire di più la spiritualità indigena interagendo con la Parola di Dio, che noi già predichiamo”.
Amedeo Lomonaco - Vatican News
L'articolo originale su Vatican News
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