Tra leggenda e storia. Ecco le reliquie dei “sacri chiodi”
di Antonio TaralloAssai rocambolesca la storia delle reliquie di “sacri chiodi” di Gesù. Leggende e storie, documenti storici, si intrecciano in una trama degna di un romanzo giallo. Alcune fonti sembrano discordare non poco, altre, invece, legate da un intreccio di date, volti, personaggi.
Le reliquie dei “sacri chiodi” hanno una storia curiosa, e su questo non c’è alcun dubbio. Un dato certo, però, esiste ed è legato – anche questa volta – al nome di donna che compare in tutte le storie che vedono coinvolte le reliquie della Passione di Gesù: la madre di Costantino, Sant’Elena, è lei la protagonista indiscussa, la “deus ex machina” dei ritrovamenti di questi particolari “oggetti” che hanno fatto la Storia del Cristianesimo e della devozione popolare. La tradizione, innanzitutto, parla di tre o quattro chiodi. Partiamo da questo dato.
Sant’Elena, nel viaggio di ritorno da Gerusalemme a Roma – a seguito della famosa spedizione in Terra Santa, alla ricerca delle reliquie della Santa Croce (327-328) – placò, grazie proprio a uno di questi, una grande tempesta che ostacolava il suo viaggio. Si narra che solo dopo aver gettato un chiodo nelle acque burrascose, il mare divenne miracolosamente una “tavola piatta”.
Una volta a Roma, uno dei chiodi rimanenti, fu fatto incastonare nel morso del cavallo del figlio, Costantino, e un altro chiodo, nel suo elmo. Costantino presumibilmente poi portò questi due chiodi, con sé, a Costantinopoli. Secondo un’altra tradizione uno o parte di questi chiodi pare fosse stato fatto incorporato nella corona imperiale. E uno probabilmente rimase a Roma. Troviamo documentata questa ipotesi in un'orazione di Aurelio Ambrogio del 395. Da un certosino inventario, redatto dall’abate Fleury (Orléans, 945 – La Réole, 13 novembre 1004), risulta che esistono ben 33 chiodi ritenuti autentici, distribuiti in ventinove città.
Roma – almeno da questo documento – ne annoverava due. Per quanto riguarda la sola Italia, invece, se ne contavano sedici. L’alto numero a cui si faceva riferimento, non comprendeva solo i chiodi che servirono alla crocifissione di Cristo (dunque tre), ma anche quelli utilizzati per l’assemblaggio della croce ed altri utilizzati per fissare il famigerato “Titulus crucis”. Ma, ora, andiamo a scovare i luoghi – in Italia – dove è possibile trovare queste tracce della Passione.
Partiamo dal Nord. Siamo a Milano, entriamo nel Duomo. Il nostro sguardo è attratto dalle enormi e variopinte vetrate, colori e figure in vetro che catturano la nostra attenzione. Ma, se prestiamo attenzione all’altare, un particolare ci colpisce. E’ l’altare maggiore, maestoso, imponente. Dietro ad esso, nella sommità della volta absidale, è collocato il Sacro Chiodo.
“Dopo che tutto il clero e una gran moltitudine di popolo si sono radunati… tre dei maggiori dignitari (del Capitolo) … vengono a poco a poco portati in alto mediante invisibili macchine, in un abitacolo… il quale per i lumi che si trovano all’interno offre l’aspetto di una nuvola splendentissima”, così il futuro vescovo di Novara (1593), Carlo Bascapè, descriveva la tradizionale scesa del “Sacro chiodo” che avveniva ogni 3 maggio (“Festa del Ritrovamento della Santa Croce”, secondo l’antico calendario liturgico), per mezzo della cosiddetta “Nivola”, una sorta di “ascensore”, a forma di nuvola e decorato con tele dipinte, statue di angeli e drappeggi (risalente nella sua forma attuale al 1624).
Ancora oggi, avviene tale rito, spostato però durante il cosiddetto Triduo del Santo Chiodo, i giorni che anticipano la Festa della Esaltazione della Croce, il 14 settembre. L’insigne reliquia è conservata nell’attuale Duomo, dal 20 Marzo 1461. Precedentemente era posta nella basilica “estiva” di Santa Tecla. Nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, nella cappella delle reliquie, assieme a quella – appunto – della Santa Croce, fin da tempi antichissimi è venerato un santo chiodo, ritenuto uno di quelli portati dall’imperatrice Elena, e quindi, ritenuto autentico.
Per questo motivo, se ne fecero numerose copie, come dimostrano i segni evidenti di levigatura per asportarne delle particole. Ha una lunghezza di 11,5 cm ed un diametro, nel punto più largo, di 0,9, con sezione quadrangolare. Manca la punta. Con quest’ultima, doveva raggiungere originariamente una lunghezza di circa 16 cm. La testa del chiodo che vediamo oggi, dunque, non è originale.
Fu rifatto posteriormente. L’unico chiodo che viene attestato come proveniente direttamente da Costantinopoli è quello conservato nell’ospedale di Santa Maria della Scala, a Siena. Il chiodo in questione rimase nel tesoro della casa reale bizantina fino al 1354.
Poi, venne un mercante veneziano, un tale Pietro di Giunta Torrigiani, che lo comprò insieme ad altre reliquie. Il papa Innocenzo VI mostrò grande interesse per la reliquia, però fu dissuaso dal rettore dell’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, Andrea di Grazia, che voleva trasformare Siena in un luogo di pellegrinaggio, approfittando della sua posizione geografica sulla via dei pellegrini verso Roma.
Proprio per indurre i devoti a fare tappa nella città toscana, era necessario avere una reliquia importante. Fece quindi, a sua volta, un’offerta molto generosa. Ma la vendita delle reliquie era proibita. Così la mediazione si concluse con una “donazione” all’ospedale.
Questo chiodo è l’unico ad avere caratteristiche simili a quello di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma. Unica differenza è che più sottile, forse da imputare all’asportazione di schegge come reliquie. L’altezza corrisponde a quella della reliquia romana, essendo lungo 12 centimetri, circa, senza però la testa.
Antonio Tarallo
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