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Unicef: il 2019 chiude 10 anni letali per i bambini in zone di guerra

'Il nostro sogno è che l’Unicef chiuda, nel senso che non ci siano più bambini che soffrono'

Credit Foto - Pixabay /Annette Jones

"Il numero di Paesi in conflitto è il più alto dall’adozione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel 1989. Nel 2018 verificate oltre 24.000 violazioni gravi contro i bambini; oltre 12.000 bambini sono stati uccisi o mutilatii. Durante la prima metà dell’anno, le Nazioni Unite hanno verificato oltre 10.000 violazioni contro i bambini". Lo scrive l'Unicef nel bilancio di fine anno in cui definisce "letale" quest'ultimo decennio.

Senza retorica, potrebbero essere i nostri figli. Secondo un'analisi più tecnica, uccidere bambini e adolescenti significa azzerare la speranza e il futuro di una Nazione. Ecco perché, spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef-Italia, "mai come in questo periodo storico i bambini sono considerati target".

R. - In quest’epoca storica più che mai, i bambini sono un target. Assistiamo sicuramente a casi di violazione di bambini che, dal 2010, non hanno precedenti nella storia; addirittura, 45 violazioni gravi al giorno. Ma qual è il senso di tutto questo? il senso di tutto questo risiede nell’attacco mirato che viene fatto ai bambini, quello che unisce un po’ tutte queste crisi globali che vanno dallo Yemen, alla Siria, dalla Repubblica Democratica del Congo, al Sud Sudan, passando anche per altri conflitti come quello in Mali o come le gravi situazioni del Burkina Faso di questi giorni o dell’Afghanistan, che dura da 40 anni. I bambini, come dicevo, sono un target. Cosa significa? Oggi si bombardano sistematicamente gli ospedali. perché si vuole impedire la salvezza, che ci si possa rifugiare in un luogo dove potersi curare. Si bombardano sistematicamente le scuole. Perché? Perché nelle scuole risiede il futuro: ci sono i bambini. Quindi, uccidere i bambini vuol dire non dare più speranza; si bombardano e si uccidono giovani, adolescenti, perché sono, appunto, la speranze delle popolazioni. Ciò che è accaduto nel 2019 - e che fa parte di questa nostra riflessione di fine anno - è proprio questo: c’è un tentativo ben riuscito da parte di tutte le parti in conflitto di tutti i Paesi, di non rispettare i loro obblighi internazionali e di usare questo tipo di violenza contro i bambini proprio per danneggiare completamente il futuro di interi Paesi.

Altro aspetto drammatico: i bambini usati nei conflitti come armi da guerra…

R. - Esatto. Bambini che vengono utilizzati come kamikaze. Preferisco usare l'espressione usati come piuttosto che bambini kamikaze, perché i bambini non sono kamikaze, vengono usati come kamikaze. Poi, i bambini che di fatto vengono usati come solati, imbracciano fucili, vengono mandati a combattere. Pensiamo a quello che è accaduto e accade in Siria, in Iraq, in Burkina Faso o in Mali o in Afghanistan. Sono Paesi dove questi bambini vengono mandati a combattere o inviati al seguito delle forze armate per fare i mestieri più disparati, oltre che essere vittime di violenze e abusi. Quando noi parliamo dell'escalation di violazioni gravi contro i bambini, è chiaro che c’è un aumento impressionante dei casi di violazione della Carta dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che tra l’altro nel 2019 ha computo 30 anni, ma anche nell’utilizzo di bambini come soldati. Quindi, bambini target e bambini utilizzati per scopi di guerra...insomma, penso che al peggio non ci sia mai fine, al netto - poi - di quelli che, come dicevo, sono stati uccisi o mutilati nel 2018. Si parla addirittura di 12mila minori, ma queste sono cifre assolutamente relative, come i 24mila bambini che hanno subito violazioni gravi nel 2018. È chiaro, dunque, che i bambini uccisi, mutilati, vittime di violenza sessuale o rapimenti, reclutati o attaccati sono molto di più.

L’Unicef lancia questo grido di allarme e fa anche una richiesta …

R. - Noi chiediamo alle parti in conflitto di rispettare i loro obblighi secondo quello che è il diritto internazionale umanitario e, quindi, porre fine alle violenze contro i bambini, non prendere di mira le infrastrutture civili – scuole, ospedali, infrastrutture idriche –; chiediamo agli Stati che di fatto esercitino la loro influenza sulle parti in conflitto e di usarla al meglio per proteggere i bambini e non per fare guerre sotto forma di procura.

Quando l’Unicef non viene ascoltata, cosa fa?

R. - Cerca di continuare a cercare di farsi ascoltare, dialogando con i governi, con le parti sociali, con tutti gli attori principali di questi Paesi. Quando non vengono fatti entrare gli operatori umanitari in un Paese, si cerca di comprendere e di parlare. Noi siamo un interlocutore, in alcuni casi privilegiato, per cercare di capire le motivazioni che stanno alla base di tutto questo. Il nostro sogno è che l’Unicef chiuda, nel senso che non ci siano più bambini che soffrono; mi sembra che invece, rispetto al quadro che si delinea in questo momento, dobbiamo purtroppo restare più che mai aperti, proprio perché la nostra voce - spesso unita a quella del Santo Padre - è l'unica a livello globale e speriamo arrivi forte e chiara a chi purtroppo in questa fase storica oggi governa i Paesi.

Emanuela Campanile - VATICAN NEWS



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