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'LASCIAMI IN PACE' E' IL GRIDO DEI GIOVANI - di Susanna Tamaro

come ha risposto san Francesco? Susanna Tamaro ci propone la sua lettura

Credits Ansa

Susanna Tamaro in dialogo con gli studenti d'Italia "Sui passi di Francesco"

Care ragazze e cari ragazzi,
sono molto felice di essere qui con voi e di avere la possibilità di trascorrere un po’ di tempo insieme. D’abitudine, non faccio incontri per presentare i miei libri, né partecipo a dibattiti o altre occasioni del genere. Sono una persona molto timida, e comparire in pubblico è per me è un vero tormento: mi sento sempre come a scuola, quando aspetti la domanda del prof. e sei sicuro che non sarai in grado di rispondere.
Ma quando mi hanno proposto di venire da voi, qui ad Assisi, ho accettato senza esitare, perchè sono sicura che il nostro tempo – quello che trascorreremo insieme - sarà un tempo fecondo. Fecondo per me e fecondo per voi.

Forse qualcuno di voi si chiederà: che cosa vuol dire tempo fecondo? Che cos’è, infatti, una terra feconda? E’ una terra capace di nutrire, di fare germinare i semi trasformandoli in piante. E non è questo forse il senso più profondo di ogni incontro? La nostra mente e il nostro cuore hanno una tendenza naturale a chiudersi, ad asserragliarsi in se stessi e, per questa ragione, molti incontri si trasformano in scontri, o nel silenzioso ergersi di due muri contrapposti.
Chissà quante volte, nelle vostre famiglie o nelle vostre relazioni personali, vi sarete trovati in questa situazione: siete uno davanti all’altro, parlate, ma le vostre parole sembrano non arrivare da nessuna parte. E allora sentite la rabbia montare in voi e, con la rabbia, magari anche la voglia di urlare, di lanciare qualcosa contro il muro, di sbattere una porta. Potremmo dire allora, per contrapposizione, che il tempo del non incontro è il tempo della sterilità? Soltanto in parte, perchè una terra sterile è una terra che non fa germogliare nulla, mentre un incontro che non avviene - o un incontro che si trasforma in scontro - di solito fa nascere parecchie cose in noi, ma tutte negative: delusione, avvilimento, risentimento, desiderio di vendetta. E questi sono veleni potenti, capaci di avvolgere e soffocare il nostro cuore.
Quante famiglie, quante relazioni sono state distrutte da questa incapacità di comprendere l’incontro? Ci si intestardisce a sbattere contro un muro, e più ci si interstardisce a farlo, più il muro, invece di crollare, ne genera altri, sempre più alti, sempre più spessi, sempre più invalicabili.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima: è una verità che troppo spesso dimentichiamo. Per questo, quando cammino per strada, salgo su un autobus o viaggio in treno, rimango sempre colpita dalla grande quantità di sguardi tristi che incrocio. Ogni volta che cerco di sorridere, di scambiare qualche parola, ottengo reazioni piuttosto deludenti. Quelli che hanno le cuffie nelle orecchie, e ormai le hanno quasi tutti, neppure mi vedono. I pochi che lo fanno, mi guardano di traverso, seccati, come se volessero dirmi: ‘Che cosa vuoi? Lasciami in pace!’

Chissà cosa direbbe Francesco di questo desiderio di pace dell’uomo contemporaneo? ‘Lasciami in pace’ vuol dire infatti: lasciami crogiolare nel mio brodo di disperazione, non voglio correre il rischio di cambiare, non voglio farmi domande; lasciami vivere con la mia musica nelle orecchie, i miei pensieri ossessivi nella testa, lasciami girare da solo il film della mia vita, che è perfetto, perchè sono stato io a scriverlo per me stesso. Non c’è spazio per gli altri in questa sceneggiatura, perchè gli altri, alla fine, sono soltanto una gran rottura di scatole.
Ora voi mi guardate e vedete davanti a voi una signora di una certa età, ed è vero perchè non manca molto ai miei sessant’anni. Quando avevo la vostra età, una persona di sessant’anni mi sembrava avesse ormai un piede nella tomba. Io stessa, vi confesso, provo un senso di incredulità, di stupore. E’ davvero trascorso tanto tempo della mia vita? Non me ne sono accorta! Quando penso a me stessa, mi sento sempre come se fossi adolescente. Non perchè sia affetta dalla sindrome di Peter Pan – vale a dire, la triste condizione di quegli adulti incapaci di crescere - ma perchè l’adolescenza è la vera chiave di volta, l’architrave di un’esistenza. E’ in questo tempo che si forma la parte più profonda della nostra personalità, è in questo tempo che si decide chi si vuole essere, e lo si decide ponendosi delle domande, e cercando di rispondersi. Chi sono? Da dove vengo? Che senso hanno i miei giorni?
Il mistero della nostra vita ci interroga, ci deve interrogare.
Il mistero è il buio che avvolge l’inizio e la fine dei nostri giorni. Non sappiamo da dove veniamo, né dove andiamo. Anche il nostro passaggio terrestre è pieno di oscure incertezze. Nessuno decide quando nascere, nessuno - almeno che non si suicidi - sceglie come e quando morire.

Laudato si, mi Signore
per sora nostra morte korporale,
dalla quale nullo homo vivente
pò skappare,
dice Francesco, nel Cantico. E’ proprio ‘nostra sora morte korporale’ che ci spinge ad interrogarci sul senso profondo del nostro cammino sulla terra. Chi sono chiamato ad essere? Qual è la vocazione della mia vita? Voglio esserne un protagonista, o preferisco essere uno spettatore, una vittima, una marionetta mossa dal caso?
Personalmente, ho avuto un’adolescenza molto tempestosa. Erano tempestosi i tempi, è tempestoso il mio carattere, era tempestosa, purtroppo, la mia esperienza familiare, e super tempestosa quella scolastica. Quando incontro alcuni miei coetanei che rimpiangono i tempi della giovinezza, ritenendoli migliori degli attuali, mi viene sempre da sorridere. Non può essere altro che un chiaro sintomo di senescenza. Il tempo in cui io avevo la vostra età non era migliore del vostro, era solo brutalmente diverso. Il fanatismo politico imperava in ogni ambito della nostra vita. Tutto era bianco o nero - o meglio nero o rosso - e queste due realtà si scontravano in modo feroce ed ottuso, travolgendo anche gli incerti, gi innocenti, gli scettici. Dovevi stare attento persino a quello che indossavi perchè un occhiale di un certo modello, un jeans della marca sbagliata poteva voler provocare il più totale ostracismo, se non un vero e proprio pestaggio.

Ogni epoca trova modo di dar sfogo agli istinti peggiori, ammantandoli di alti ideali. La violenza che nasce dalla certezza di essere nel giusto è una delle più diffuse - e più difficili - da sradicare dal cuore dell’uomo. Gli anni della mia adolescenza grondavano di ferocia e di sangue. Sangue reale, non metaforico. Sangue dei pestaggi, dei regolamenti di conti, sangue degli attentati, delle centinaia di assassini compiuti a sangue freddo. Tutto questo è stato dimenticato un po’ troppo rapidamente, creando l’immagine fittizia di un tempo in cui il mondo era diverso e migliore. E’ in quegli anni anche - i primi anni ’70 del secolo scorso - che nella vita dei ragazzi ha fatto irruzione in modo massiccio il consumo delle droghe. Si è spalancato un portone e quello che fino ad allora era stato un fenomeno per pochi si è trasformato in un fenomeno di massa. Quanti compagni di scuola morti in un lurido gabinetto con una siringa nel braccio! Quanti si sono letteralmente bruciati il cervello con l’acido lisergico! E quanti, per il terrorismo e per la droga, sono finiti in prigione!

Erano anni terribili, quelli della mia adolescenza, e non ho timore a dire che sono stati propio i ragazzi migliori - cioè i più sensibili, i più fragili - a venire travolti dall’onda impetuosa della distruttività. L’insoddisfazione per il conformismo del mondo che li circondava li ha spinti ha cercare risposte nella direzione sbagliata; invece di crescere continuando a farsi domande, si sono gettati nelle braccia della morte. L’incontro, che poteva avvenire, non è avvenuto, il tempo, da sterile, non si è trasformato in fecondo.
Alla vostra età io ero piena di rabbia, di dolore e di curiosità. Di rabbia perchè non mi piaceva il mondo così com’era. Un mondo pieno di falsità, di ingiustizie, un mondo che mi respingeva - la scuola in primis, perchè non ero in grado di essere come gli altri; lo stesso fanatismo politico dei miei coetanei, per quanto mi sforzassi di trovarlo interessante, lo sentivo comunque estraneo. Ero piena di dolore, perché non avevo alle spalle una famiglia capace di accogliermi, ma dei genitori immaturi, innamorati dei fantasmi del loro egoismo; genitori che consideravano il prendersi cura dei figli l’ultima preoccupazione della loro vita. E’ bruttissimo accorgersi che a tuo padre e tua madre non importa nulla di te! So che può essere considerato scandaloso dirlo, ma non si diventa automaticamente padri e madri solo perchè si è messo al mondo un figlio. Avere dei genitori immaturi, anaffettivi, distaccati, egoconcentrici è un grande peso nella vita. Ma, come tutti i pesi, può anche diventare, nel tempo, un dono, perchè solo chi ha molto sofferto, un giorno sarà in grado di amare molto. E vi dirò che, alla fine, per il destino della propria vita meglio, molto meglio non essere stati amati, che essere stati amati male, di un amore manipolatorio, di un amore malato, intessuto di sottili ricatti e di sensi di colpa. Il deserto lascia la libertà, l’amore parodistico lascia invisibili catene difficili da divellere.

Ero piena di rabbia, piena di dolore, come vi dicevo, ma anche piena di curiosità. Nonostante tutte le difficoltà, la vita mi sembrava qualcosa di estremamente affascinante. Ero convinta, infatti, che ci fossero molti più misteri da scoprire in una giornata normale che nella profondità di una giungla tropicale. Mi facevo molte domande, e sono state queste domande il motore che mi ha permesso di andare avanti. Grazie a loro, piano piano, ho abbandonato lungo la strada la rabbia e il dolore, trasformandoli in amore e compassione, i loro antidoti. Mi piaceva molto stare da sola, come amavo molto la natura. Camminavo per giorni in montagna, dormivo con il sacco a pelo dove capitava, ascoltavo i rumori notturni del bosco, contemplavo le stelle. Arrivata nei punti più alti, mi perdevo con lo sguardo nella profondità dell’orizzonte. In quegli istanti sapevo perfettamente che cosa volevo essere: volevo essere una persona libera. Libera come il cielo, libera come l’acqua, libera come il grande respiro che sentivo prepotentemente vivo nella natura.
Sentivo di avere dentro di me queste due parti contrapposte, che si combattevano senza tregua. Da un lato, la disperazione per il non amore, che mi spingeva con prepotenza verso l’autodistruzione, dall’altro, questo desiderio di libertà, questo amore per il creato che, con insistenza, mi conduceva verso un altro livello di comprensione della vita. Dato che sono passati quarant’anni e sto davanti a voi, è evidente quale delle due parti abbia prevalso. In questo mio lungo e accidentato cammino, c’è stato un punto di partenza. E questo punto è stato proprio Francesco.
I tempi in cui vivevo erano profondamente antireligiosi, come lo era del resto anche la mia famiglia, così mi ero naturalmente convinta che tutto ciò che stava intorno ai preti e alla chiesa fosse qualcosa da evitare accuratamente, se si voleva rimanere degli esseri liberi e pensanti. Ma poi un giorno ho visto un film, Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli e quel film ha letteralmente spalancato una porta - anzi un portone - nel mio cuore e nella mia mente. La libertà vera dunque esisteva, e passava attraverso quel piccolo libretto che si chiamava Vangelo. I preti non c’entravano niente, così come non c’entrava il potere. Anzi, quel piccolo libro era proprio l’unico antidoto alla sete distruttiva del potere. Francesco era un uomo davvero libero: era libero perchè si era spogliato di tutto, era libero perchè sapeva essere in ogni cosa e gioire di ogni cosa. Francesco mi stava mostrando la strada per diventare ciò che volevo essere, una persona assolutamente libera, capace di esistere nell’unica dimensione per cui vale la pena di esistere - quella dell’amore. Che differenza tra ciò che mi offriva Francesco e ciò che offrivano le droghe! In Francesco, il respiro diventava così profondo e grande da poter accogliere ogni respiro del mondo; le droghe, dopo l’apparente ed ebete quiete iniziale, trasformavano il respiro in un tristissimo rantolo.
Sull’onda di quell’emozione, ho preso lo zaino e sono andata in autostop dal Friuli fino ad Assisi. Ricordo bene il bianco abbacinante della sua pietra, così come lo si vede arrivando da Bastia Umbra, e ricordo di aver pensato che quella luce era come un faro che, da centinaia di anni, aiutava i naviganti disperati come me a ritrovare la rotta della propria vita.

E ogni volta che ci ritorno, e vedo che le folle di pellegrini, invece di diminuire, aumentano, non posso che provare meraviglia pensando che, a provocare tutto ciò, sia stato un semplice ragazzo. Un ragazzo che, da più di 900 anni, chiama a sé miloni di persone da tutto il mondo, aiutandole a a cambiare. Nel 1200, non c’erano la radio e la Tv, non c’era internet, né i tweet, né facebook, non esistevano gli uffici stampa, eppure la sua fama si è diffusa subito dappertutto con la forza di un mite tzunami. A chi è inquieto, Francesco mostra la via per liberarsi dell’inquietudine. Una via che si manifesta con due semplici passaggi - spogliarsi di sé e accettare l’Incontro.
C’è un adagio indiano che dice: ‘prima di giudicare qualcuno, cammina per due lune nei suoi mocassini’. Per questo spesso mi domando come sarei, se fossi venuta al mondo nell’epoca in cui siete nati voi? Di certo, sarei sempre io, con il mio carattere insofferente e ribelle, ma in che modo, mi chiedo, la forza onnipresente e condizionante dei media sarebbe riuscita a influenzarmi? Fino a una certa età non ho avuto la televisione in casa, sono così cresciuta con i miei pensieri, la mia immaginazione e basta. Evolutivamente dunque, il mondo dell’elettronica non mi riguarda.

Adesso ho lo smartphone, il tablet e li trovo delle oggetti meravigliosi, ma li considero appunto degli oggetti e, come tali, sono al servizio delle mie necessità. Se, per caso, un giorno sparissero, non cambierebbe niente nella mia vita. Voi invece, dal momento in cui avete aperto gli occhi, siete stati bombardati da immagini e da suoni di ogni tipo. E queste immagini e questi suoni hanno avuto due scopi principali: quello di intrattenervi - tenedovi lontani dalle domande importanti -, e quello di mostravi sempre nuovi oggetti da desiderare perchè, in questo nostro sistema economico, l’essere umano esiste per un solo obiettivo - quello di trasformarsi in un perfetto consumatore. Consumo dunque sono è stato il sigillo del tempo in cui siete venuti al mondo. In questa eccitante e colorata frenesia di acquisti, si sono dimenticati di dirvi che chi vive consumando, prima o poi, dai consumi viene consumato. Non ve l’hanno detto, ma ora comunque ve lo sta dicendo la storia. Quel mondo rutilante era soltanto una magnifica finzione. Ora è venuta la crisi, e il paese dei balocchi comincia a mostrare il suo vero volto, che non è un volto, ma un ghigno. Il ghigno di chi ha cercato, sottilmente e perversamente, di convincerci che l’essere umano non ha altra dignità che quella di essere una ‘cosa’ tra le cose.

Rispetto ai miei tempi, siete liberi dall’orrore delle ideologie, avete una possibilità di dialogo con i genitori e con gli insegnanti che noi non ci sognavamo neppure di avere; avete una vita sicuramente molto più confortevole, popolata di oggetti, di facilitazioni, godendo di un’accettazione incondizionata da parte di chi vi sta vicino. Eppure, in tutta questa vostra ovattata comodità - in cui non accade mai nulla di veramente grave - sembra che ci sia un fondo di sorda disperazione, di solitudine, di smarrimento, perchè vi è stato dato tutto, ma siete stati letteralmente scippati dalle domande di senso.

Le domande sul senso della vita, infatti, provocano inquietudine, ed è proprio l’inquietudine lo spauracchio di questo mondo che tende comunque verso il totalitarismo, anche se molto diverso da quelli del secolo passato. Un totalitarismo silenzioso, suadente, apparentemente indolore. Un essere umano che non si interroga è destinato a soccombere alla manipolazione dei media. Lentamente e inesorabilmente, diventa uno schiavo, spettatore passivo e depresso della vita, senza riuscire a provare vere emozioni, senza riuscire a vivere un vero amore, senza un orizzonte verso cui alzare lo sguardo. La mia impressione è che siate stati quasi anestetizzati dalle cose, e che questa anestesia sia anche il frutto dell’ignavia educativa della società chi vi sta intorno, di chi vi preferisce addormentati piuttosto che ribelli, di chi è abituato a venirvi sempre incontro purché non creiate problemi. ‘Basta che non rompa’ è un po’ il ritornello che vi accompagna. Ma voi, invece, dovete rompere! Dovete rompere con caparbia insistenza, non perchè vi venga comprato il nuovo smartphone, ma perchè la vostra vita raggiunga un altro livello di senso.
Anche Francesco era un giovane viziato, abituato ad avere tutto dalla vita, e sicuramente, se fosse vissuto oggi, avrebbe cambiato modello di tablet ogni mese, eppure non ha esitato un istante a sbarazzarsi di tutto quell’universo di comodità che si era improvvisamente trasformato in un’inutile zavorra. Non era un pazzo, non era un eccentrico, era soltanto una persona che, ad un certo punto, è stato in grado di vedere la straordinaria filigrana di luce che sostiene il mondo. La luce della resurrezione, la luce dell’amore che sempre, ad ogni istante, è capace di generare a nuova vita ogni creatura che viva su questa terra.

Cercate dunque di liberarvi dal cinismo, dalla disillusione in cui questa società vi ha fatto crescere. Cercate soprattutto di liberarvi dalla nefasta idea che il mondo sia solo dei forti, dei furbi. Lo è, finché noi lasciamo fare, finché noi ci ritiriamo nel nostro guscio, finché pensiamo che non ci riguarda, finché non siamo capaci di offrire - con la coerenza della nostra vita - una diversa dimensione dell’esistere. Il male avanza finché lo facciamo avanzare, ma, davanti al bene, prima o poi arretra. Francesco era un ragazzo che viveva in un paesino sperduto nei boschi dell’Italia centrale. Non era un professore universitario, non era un politico, non era un re, non aveva neppure i super poteri donati da qualche pozione magica o da qualche potente druido. Eppure la sua breve vita - è morto a poco più di quarant’anni - continua ad essere una fonte di energia, di luce e di rinnovamento per milioni e milioni di persone di tutti i popoli e di tutte le fedi.

Spero che questi giorni trascorsi in sua compagnia abbiano lasciato un segno anche nel vostro cuore, un segno di inquietudine, un segno di ribellione. Un segno e una sete. La sete di un modo diverso di essere, la sete di una rivoluzione interiore, capace di sostituire la legge della comodità e della disillusione con quella dell’amore - la straordinaria energia che ci spinge sempre ad andare incontro all’altro e ad accoglierlo. Tutti noi possiamo essere Francesco e, come Francesco, irradiare gioia e libertà intorno a noi. Basta aver il coraggio di andare in fondo al nostro cuore, di cancellare le menzogne e di accettare l’Incontro che illumina tutti gli altri incontri.


. E’ molto importante che vi rendiate conto di questo, che prendiate il mano il vostro destino. La crisi che sta attraversando la nostra società è molto grave e potrebbe scoraggiare molti. Per non cadere vittime del fatalismo bisogna rendersi conto che le crisi sono soprattutto un mutamento di ordine - un modo di essere non va più bene e bisogna inventarne un altro – e sono dunque una grande opportunità di cambiamento. Il mondo come sarà dipende da voi, dalla vostra capacità di immaginare un modo diverso di essere e di metterlo in pratica, ribellandovi a tutto ciò che vuole privare l’uomo della dimensione del mistero, trasformadolo in una misera cosa. Ribellatevi al tempo sterile, al tempo opaco, trasformate ogni minuto, ogni secondo nel tempo della curiosità, della scoperta, nel tempo dell’incontro. Esercitate sempre la dimensione della speranza, edificate la vostra vita rendendo fecondo il tempo. Francesco era innamorato della bellezza. Se io adesso vi guardo, vi vedo molto belli. Spero che, dopo questi giorni ad Assisi, impariate anche voi a vedervi belli. Belli, anche se avete il naso lungo o siete troppo magri o troppo grassi, troppo alti o troppo bassi; belli, anche se i capelli o gli occhi che avete non sono proprio quelli che desideravate; belli anche se la felpa che indossate non è proprio l’ultimo modello, ma un po’ da sfigati. Per questo, vi consiglio di fare un esercizio: la mattina prima di andare a scuola, quando ancora assonnati armeggiate davanti allo specchio del bagno, alzate lo sguardo e guardatevi. Guardate davvero il vostro volto, imparate a interrogarlo e leggerlo, come fosse un libro. Guardate i vostri occhi, guardateli con meraviglia, con gioia, guardateli ricordandovi che, da lì, si irradia la luce più profonda di una persona. E anche se li vedete spenti, tristi, ostili, ricordatevi che la luce è comunque dentro di voi. Vi aspetta da prima che voi nasceste. Vi aspetta in fondo al vostro cuore. Sta lì con pazienza, con mitezza, e attende che voi facciate un passo per andarle incontro.

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