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'Ora vi dico come abitare pacificamente nel mondo'

Francesco d’Assisi ha svelato quella via per la pace dove tuttavia continuiamo ad inciampare

Credits Ansa

Non ci siamo accorti di quanto Francesco d’Assisi parli all’uomo contemporaneo. Lo fa con un suo linguaggio, che risale al XIII secolo. Qualcuno potrebbe allora dissentire e pensare che sia un “proferire” antico, vecchio, e ritenere che Francesco avesse parlato solo alla società del suo tempo. La comunicazione offerta da Francesco è, in realtà, atemporale e grazie alle testimonianze scritte coeve che ci raccontano la sua vita abbiamo oggi uno dei più grandi strumenti che la Storia potesse donarci: un manuale su come vivere nel mondo attraverso l’attitudine alla pace. Perché è vero, la pace non si ottiene facilmente. Ma esiste. La pace è uno stato sociale possibile proprio della vita terrena. Prima di tutto, però, è educazione ad una propensione interiore contro la banalità del male.

Francesco, che aveva un’esistenza come tante altre, sperimenta la gagliardia cavalleresca tipica di un giovane del Medioevo, l’esaltazione godereccia per gli eccessi, la guerra, il desiderio di rincorrere qualcosa. Ad un certo punto del suo percorso introspettivo percepisce che l’essere umano può spesso limitarsi ad un “campare” autoreferenziale dove l’individuo non ha altra urgenza che il qui e ora. Questo non significa che Francesco, stanco o annoiato dai suoi soliti divertimenti, si sia d’un tratto dedicato ad un’esperienza estrema pur di alimentare un qualsivoglia desiderio di ostentazione o superomismo giovanile. La scelta fu un’altra: aveva afferrato che esiste un unico linguaggio in grado di consentire una comunicazione diretta con la nostra anima, prima che con gli altri, ed è la pace. E pace non corrisponde ad odiare qualcosa, come la ricchezza – quando essa può portare beneficio, a se stessi e al prossimo – o mistificare la religione come allora fecero molti movimenti ereticali. “Pace” è avere gli strumenti giusti, la mediazione universale, per esprimersi.

Ed esprimersi non è solo il “parlare”. Per Francesco il linguaggio ideale è quello non verbale della «contaminazione della terra»: uso le virgolette perché questa espressione nasce da un bel discorso – a proposito di parole – avuto con mio padre (N.d.R), che ringrazio per la riflessione cui mi ha condotto e che qui condivido. Ma qual è questo linguaggio della contaminazione della terra?

Nel Cantico delle creature recuperiamo la risposta, l’emblema di quello che abbiamo appena considerato. Francesco non riesce a trovare pace nell’uomo e si allontana da esso per un breve arco temporale: nella sua immersione totale nelle leggi delle stagioni, nell’interazione con gli animali, nella pioggia, nel vento e nel sole dopo la tempesta, il Poverello d’Assisi ritrova il modo per tornare quotidianamente ad abitare col genere di umanità che aveva rifiutato. Francesco, uomo come noi, è riuscito nell’impresa della convivenza con l’altro e ha cercato fino all’estremo di mantenere una sua coerenza pur di stilare quel manuale ecologico della pace, che è la sua stessa vita. Sì, l’ecologia. L’etica sociale di Francesco si propone come morale del qui e dopo, una morale rivolta ad un futuro prossimo, reale, verso i figli e il loro lavoro. La solidità di Francesco, la sua resistenza, fu data dal rispetto per ciò che desiderava e amava interiormente. E da un’attitudine, da un desiderio, non si scappa. L’ecologia di Francesco non riguarda solo piante e animali, o un mero atteggiamento mistico di ritiro dalla vita civile. Quella di Francesco è la proposta di una pace comunitaria attraverso un modello di comportamento cosmico, che rinvia a quel linguaggio ancestrale insito in ognuno e che corrisponde alla “casa” comune di tutti: la natura. Farci contaminare dalla natura per esercitarci all’ascolto e al linguaggio della pace. Grazie, Francesco d’Assisi, uomo come noi, per aver svelato quella via per la pace dove tuttavia continuiamo ad inciampare.

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