Attenti, il poverello di Assisi ci parla ancora
di Bruno Forte
“Anche ad un'osservazione superficiale appare evidente come per parecchi
secoli in tutta l'Italia nessun uomo abbia goduto di un amore e
di un ossequio così smisurati come il modesto ed umile Francesco [...] Il
divino messaggio, tenero e beato, che era giunto sulla terra sotto forma
di lui, non si spense con la sua morte. Egli aveva sparso a piene mani
un buon seme, e quel seme germogliò e crebbe e fiorì”. Queste parole
di Hermann Hesse, l'autore di Siddharta, di Narciso e Boccadoro
e di tanti altri celebri testi, oltre che di una deliziosa vita di
Francesco d'Assisi scritta in gioventù (1904), suscitano la domanda
sul perchè Francesco abbia lasciato una così profonda
impronta nel cuore degli Italiani e di tante donne e uomini di
ogni latitudine e cultura.
La risposta di Hesse - dal tono piuttosto
sentimentale e romantico -
contiene un nocciolo prezioso di verità:
“Soltanto pochi [come Francesco], in virtù della
profondità e dell'ardore del loro intimo, hanno
donato ai popoli, quali messaggeri e seminatori
divini, parole e pensieri di eternità e dell'antichissimo
anelito umano [...] sè che quali astri beati si
librano ancora sopra di noi nel puro firmamento,
dorati e sorridenti, benevole guide al peregrinare
degli uomini nelle tenebre”.
Per Hermann Hesse Francesco incarna un
messaggio capace di dare ragioni di vita e di
speranza al cuore di tutti. Anche a quello
dell'Italia d'oggi, scossa da una crisi che, prima
che economica e politica, è spirituale e
morale.
Nel tentativo di cogliere questo messaggio,
motivando così anche la mia scelta di san
Francesco quale “personaggio che potrebbe risolvere
la crisi del nostro Paese”, mi è venuto in
aiuto un testimone singolare. Sul tratto autostradale
che collega Roma a Chieti, fra i
più belli d'Italia per paesaggi e colori, a metà circa della piana del Fùcino, su un colle che un tempo
si specchiava nel lago, dominato dall'imponente castello medioevale,
sorge Celano, patria del beato Tommaso, seguace e
primo biografo di Francesco, che a Celano presumibilmente
passò intorno al 1220. Nella Vita prima di San Francesco d'Assisi,
scritta su incarico di Gregorio IX quale “Legenda” ufficiale per
la canonizzazione del Santo e presentata al Papa il 25 febbraio
1229, Tommaso narra con incantevole freschezza la vicenda
di Francesco sin dai suoi inizi. Colpisce anzitutto la presentazione
del tempo antecedente la conversione: “Viveva ad Assisi,
nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori ricevette
fin dall'infanzia una cattiva educazione, ispirata alle vanità del
mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero
e vanitoso”.
Il giovane Francesco è veramente uno di noi, così simile a noi
nella leggerezza della vita e dei sogni. Tuttavia, è proprio l'aver
vissuto questa stagione dell'utopia, impastata delle fughe in
avanti dei desideri e delle pretese, che rende Francesco così
largamente umano. E' quanto esprime la folgorante risposta
di Mark Twain alla domanda su dove avrebbe voluto andare
dopo la morte: “In paradiso per il clima, all'inferno per la compagnia...”:
come a dire che i peccatori suscitano un'immediata
simpatia perchè li sentiamo a noi familiari, anche se non può
non attrarci la bellezza del cielo... Francesco ci parla anzitutto
perchè parte da quello che ci accomuna tutti: la nostra fragilità,
la lista più o meno lunga dei nostri difetti, di cui alcuni
- ambizioni, vanità, ricerca dell'immagine a prezzo della
verità, dipendenza dagli indici di gradimento, leggerezza nel
mantener fede agli impegni - ci appaiono così drammaticamente
attuali!
Avviene però nella vita del giovane di Assisi qualcosa di nuovo
e imprevisto: Tommaso da Celano lo narra col tratto tenerissimo
di una lettura guidata dagli occhi della fede: “Ma la mano
del Signore si posò su di lui e la destra dell'Altissimo lo trasformò,
perchè, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere
alla grazia, e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio”. Al
di là di queste poche righe, che già aprono uno squarcio sullo
sterminato futuro, i fatti ebbero una serrata consequenzialità:
“Colpito da una lunga malattia, egli cominciò a cambiare il suo
mondo interiore [...] non tuttavia in modo perfetto e reale, perchè non
era ancora libero dai lacci della vanità [...] Francesco cercava ancora
di sottrarsi dalla mano divina, accarezzava pensieri terreni, sognava
ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo”.
L'occasione del cambiamento fu di quelle che solleticano anzitutto
le ambizioni e proprio così espongono alle delusioni
più cocenti: “Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando preparativi
militari verso le Puglie [...] Saputo questo, Francesco trattò
per arruolarsi [...] Ma, la mattina in cui doveva partire, intuì che la
sua scelta era erronea rispetto al progetto che Dio aveva per lui [...]”.
Francesco rinuncia alla spedizione e sceglie di conformare la
sua volontà a quella divina: “Si apparta un poco dal tumulto del
mondo, e cerca di custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore [...] appronta
un cavallo, monta in sella e, portando con sè i panni di scarlatto,
parte veloce per Foligno. Ivi vende tutta la merce e con un colpo di
fortuna anche il cavallo!”. E' il no al passato: non ancora, tuttavia,
è chiaro a che cosa dovrà dire il suo sè. “Sul cammino del ritorno,
libero da ogni peso, va pensando all'opera cui destinare quel denaro
[...] Avvicinandosi ad Assisi, s'imbatte in una chiesa molto antica, fabbricata
sul bordo della strada e dedicata a san Damiano, in rovina [...]
Vedendola in quella miseranda condizione, si sente stringere il cuore. Incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede, gli bacia le mani
consacrate, e gli offre il denaro [...] rimanendo a vivere con lui”.
Ciò che è avvenuto all'interno del cuore non può non manifestarsi
all'esterno: si prepara la sfida più dura, l'incomprensione
e il giudizio dei suoi. “Suo padre venne a conoscenza che egli
dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera. Profondamente
addolorato radunà vicini e amici e corse a prenderlo e lo rinchiuse
in una fossa che era sotto la casa ove rimase per un mese intero [...]
Francesco con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse [...] Affari
urgenti costrinsero il padre ad assentarsi per un po' di tempo da casa
[...] Allora la madre, rimasta sola con lui, disapprovando il metodo
del marito, parlò con tenerezza al figlio; ma s'accorse che niente poteva
dissuaderlo dalla sua scelta. E l'amore materno fu più forte di lei
stessa: ne sciolse i legami lasciandolo in libertà”. Emerge qui una
costante della vita di Francesco: il ruolo della donna nella sua
esistenza. Dapprima, la Madre, tanto tenera, quanto capace di
capire. Quindi, Chiara, sorella nell'amore per Cristo e discepola
fedelissima. Sempre la Madre di Dio, custode del suo cuore.
“Frattanto il padre rincasa, e visto ogni vano tentativo per distoglierlo
dal nuovo cammino, rivolge il suo interesse a farsi restituire il denaro
[...] Allora, impose al figlio di seguirlo davanti al vescovo della città,
affinchè facesse davanti al prelato la rinuncia e la restituzione completa
di quanto possedeva. Francesco non esita per nessun motivo: senza
dire o aspettare parole, si toglie le vesti e le getta tra le braccia di suo
padre, restando nudo di fronte a tutti”.
Si rivela qui il tratto che rende Francesco fratello universale:
la rinuncia a ogni possesso e a ogni potere, il suo essere nudo
e indifeso. Non si tratta solo di una scelta di sobrietà, pur così
importante e necessaria allora come oggi: è una logica che appare
sovversiva rispetto agli arrivismi ed alle avidità di questo
mondo. Non è l'audience che conta, nè il successo o il denaro,
ma la nuda verità di ciò che siamo davanti a Dio e per gli altri!
Ed è proprio questa libertà dell'essenziale che lo avvicina a
tutti e lo rende inquietante per tutti!
Nel tempo in cui sta a San Damiano, Francesco prega intensamente.
Il Crocifisso che è in quella chiesa gli parla: “Va e
ripara la mia casa”. In un primo momento Francesco pensa di
dover riparare la chiesetta dove si trova; capisce, poi, che Gesù
si riferiva alla Chiesa tutta intera, che attraversava un periodo
contrassegnato da mondanità e prove. Riportare la Chiesa agli
insegnamenti del Vangelo, liberarla dalla seduzione delle ricchezze
e del potere, riavvicinarla ai poveri è la missione di cui
si sente investito.
Comincia la sua nuova vita: “Si reca tra i lebbrosi e vive con essi per
servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi e ne cura le
piaghe [...] La vista dei lebbrosi gli era prima così insopportabile, che
non appena scorgeva in lontananza i loro ricoveri, si turava il naso.
Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per
grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre
viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso
e fece violenza a sè stesso, gli si avvicinò e lo baciò”. Il suo modo
di vivere a servizio di Dio cominciò ad affascinare i giovani
di Assisi, al punto che vari di loro lo seguirono per servire il
Signore.
Nei rapporti con gli altri, Francesco segue una regola precisa:
“Chi non ama un solo uomo sulla terra al punto da perdonargli tutto,
non ama Dio”. Proprio così comincia
a dare fastidio: “I potenti di Assisi
si videro la loro cittadina svuotata
per via di Francesco e, in un
momento in cui egli ed
i suoi confratelli
erano in giro
per la questua,
alcuni
uomini di Assisi saccheggiarono la chiesa di San Damiano uccidendo un
poverello che dimorava in quel luogo. Al ritorno, Francesco fu scosso
da profondo dolore al punto da pensare di dover andare dal Papa in
persona per chiedere se la via che aveva intrapreso per seguire il Cristo
fosse errata. Dall'incontro con il Papa, non fu Francesco ad uscirne
con consigli ed ammonimenti, ma furono tutti, il Papa Innocenzo III
compreso, a sentirsi umiliati dalla povertà ed obbedienza di quest'uomo.
Da questo momento tutta la Chiesa fu rinnovata: c'era finalmente
qualcuno che riportasse i poveri a Cristo”.
Francesco si mette alla scuola di Gesù Crocifisso e impara
l'umiltà: anche in questo la provocazione che lancia al nostro
presente è bruciante: “Un frate chiede a Francesco: 'Padre, cosa ne
pensi di te stesso?' ed egli rispose: 'Mi sembra di essere il più grande
peccatore, perchè se Dio avesse usata tanta misericordia con qualche
scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me”. Lo spogliamento
di sè caratterizzerà sempre più il suo cammino: nella Vita seconda
di San Francesco, che Tommaso da Celano stende tra il
1246/1247 per corrispondere all'ingiunzione del Capitolo generale
di Genova “di scrivere i fatti e persino le parole” di Francesco,
questo aspetto emerge in modo impressionante. “L'ardore
del desiderio lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione
lo trasformava in Colui che volle essere crocifisso. Un mattino, mentre
pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con
sei ali tanto luminose quanto infuocate, discendere dalla sublimitò dei
cieli: esso con rapidissimo volo, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora
apparve l'effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e
confitti sulla croce [...] Il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima
[...] L'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto
visibile di Cristo Gesù crocifisso [...] Così il verace amore di Cristo aveva
trasformato l'amante nella immagine stessa dell'Amato”.
Gli occhi di Francesco si chiuderanno presto alla luce del mondo:
ma la luce della sua fede e del suo amore umile continuerò
a risplendere. Non fu la sua una fuga dal mondo. Se non avesse
amato profondamente questa terra, non avrebbe composto
il Cantico delle creature. La sua è anche una spiritualità del rispetto
e dell'amore del creato. Tutto in Francesco fu motivato
dall'aver compreso qual è la perla preziosa da cercare ad ogni
costo: sobrietà, povertà, tenerissima carità, umiltà, rispetto per
ogni creatura e per tutto il creato sono volti di quest'unico
amore. E non è di esso che ha bisogno anche l'Italia di oggi,
come quella del suo tempo e il mondo intero con lei? “Quando
infine si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell'anima santissima,
sciolta dal corpo, fu sommersa nell'abisso della chiarità divina e
l'uomo beato s'addormentò nel Signore. Uno dei suoi frati e discepoli
vide quell'anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su
una candida nuvola al di sopra di molte acque e penetrare diritta in
cielo: nitidissima per il candore della santità eccelsa e ricolma di celeste
sapienza e di grazia per le quali il santo meritò di entrare nel luogo
della luce e della pace, dove con Cristo riposa senza fine”.
E parla a chiunque voglia ascoltarlo...
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