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Candore di luce eterna

Dante partecipa alle sofferenze di chi incontra lungo il suo cammino

In occasione della giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, Papa Francesco ha scritto una lettera apostolica dal titolo Candor lucis aeternae per celebrare l’esperienza umana e letteraria del sommo poeta a settecento anni dalla sua morte. Quando s’interrogano le nuove generazioni sulle ragioni per le quali Dante continui ad essere amato, letto e tradotto in tutte le lingue del mondo, le risposte convergono sempre nella stessa direzione: Dante il poeta, l’uomo in esilio, il teologo, il politico, ha rappresentato la condizione umana dell’individuo che vive il percorso della sua esistenza tra ostacoli, dubbi, fragilità, desideri, vizi e virtù.

Dante compie un viaggio che ha inizio dal regno in cui l’uomo si è smarrito a causa del peccato, per poi attraversare il luogo in cui si espiano le proprie colpe fino a raggiungere il Paradiso, dove ogni mortale (che il poeta stesso incarna) desidera godere della luce divina e beneficiare dell’amore nella sua incarnazione ideale perché più vicina a Dio. Se a distanza di secoli Dante è sentito nell’intimo della propria coscienza, è perché ha saputo leggere e interpretare l’anima umana, ne ha colto i tormenti come pure le speranze, traducibili nell’aspirazione a voler comprendere il senso della vita e ritrovare la pace – che trova piena realizzazione al cospetto di Dio. Nonostante gli eventi dolorosi e drammatici di cui fu protagonista, Dante resiste a tutto, la sua è una resilienza a qualsiasi cosa che pur turbandone la quiete interiore diventa condizione necessaria per reagire in modo paziente ma sapiente alla mediocrità, all’egoismo e alle ingiustizie del suo tempo.

Dante spregia gli ignavi, poiché non hanno avuto il coraggio di decidere da che parte stare; pur potendo scegliere da uomini liberi, non hanno perseguito il bene né il male – a tal proposito vorrei ricordare le parole di Papa Francesco, il quale disse che non è sufficiente non fare il male ma bisogna agire, agire nel bene –, hanno preferito seguire la corrente senza opporvisi, restando neutrali. Per questo non meritano di andare in Paradiso. Dante partecipa alle sofferenze di chi incontra lungo il suo cammino, dialoga con ognuno mostrando quella pietas, quel valore cristiano della compassione che appartiene solo agli spiriti nobili. Condivide le gioie e le beatitudini di chi ha lasciato un’impronta indelebile nella storia umana, come San Francesco d’Assisi – ch’egli incontra nel Paradiso.

C’è una profonda unione tra Dante e San Francesco: il primo, che ha popolato la Commedia di personaggi realmente esistiti e che senza tenere conto del rango di appartenenza conferisce a ciascuno pari dignità, e poi Francesco, che ha intrapreso il suo viaggio tra i poveri, predicando il Vangelo lungo strade, per vie, in borghi diversi, che s’è soffermato di casa in casa per ascoltare le sofferenze del prossimo. Messaggeri entrambi della bellezza e del valore che ogni creatura porta con sé. Anche Dante tesse le lodi del Creato, come fece San Francesco nel suo Cantico (lode a Dio ed inno alla vita in tutte le sue forme) in (Purg. XI, 4-5): «laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore / da ogne creatura». Anche Dante condanna chi non guarda al cielo ma confida solo nei beni terreni, chi non pensa che il vero bene sia l’amore che move il sole e l’altre stelle.

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