Cultura/Siamo una nazione fondata sul Poverello (e lo tiriamo per il saio)
Se appare scontato accostare le figure di santità e l'«identità teologica», lo è meno - come fa il sottotitolo di
questo libro a più voci - avvicinare la santità e l'«identità nazionale». E lo è meno, soprattutto, se si
sperimentano nuove letture di profili e simboli, inseguendo inediti nessi o inesplorate correlazioni, che
possono caricarsi di significato per la storia religiosa e sociale. Come sottolinea Roberto Rusconi aprendo
queste pagine, proprio la modulazione novecentesca della figura di Francesco d'Assisi, «il più santo degli
italiani, il più italiano dei santi» secondo l'espressione di Pio XII quando lo proclamò patrono d'Italia nel 1939
(10 anni dopo quella Conciliazione messa in moto nel 1926, durante le celebrazioni per il VII centenario della
morte del Poverello), palesa la ricchezza di intrecci tra le vicende del Paese e l'eredità dell'Assisate «padre
della Patria», tornata in gioco nel periodo fra le due guerre mondiali (qui vi si sofferma Daniele Menozzi),
dentro i nuovi orientamenti del cattolicesimo nei suoi volti differenti.
Da Agostino Gemelli (tratteggiato da
Maria Bocci) a Pio da Pietrelcina (analizzato da Guido Mongini), accomunati nella scelta di diventare frati
minori: l'uno per una personale soluzione del connubio medievalismo e francescanesimo, l'altro nel segno
della tradizione. Dunque non è un caso se già nel 1926 padre Francesco Sarri presentava i Fioretti nel loro
«carattere di schietta italianità», o Benito Mussolini parlava del «più santo dei santi... nella sua anima di
italiano» (sotto regime fascista il culto francescano - fanno notare Tommaso Caliò e Francesco Torchiani -
ebbe ruolo rilevante).
Come ben poco di casuale si ritrova nelle altre rivisitazioni del santo presentate nel
libro, nato da un convegno promosso nel giugno scorso a Rieti dal Centro europeo di Studi agiografici. Sino a
farci chiedere con Bruno Toscano, intervenuto (con Giovanna Capitelli e Jan de Maeyer) sui rapporti fra il
Serafico e l'arte, se sia lo stesso Francesco che continua a trasformarla. Ma sono anche altri gli interrogativi
suscitati dai contributi del volume. Senza dimenticare l'influenza nella sfera pubblica di Caterina da Siena
«decoro della patria» (saggio di Anna Scattigno), si veda l'altra case history - qui analizzata da Lucia Ceci -
del missionario Guglielmo Massaja, ovvero l'«Abuna Messias» strumentalizzato sul grande schermo in chiave
colonialista, tale da rendere il cappuccino cardinale addirittura simbolo fascista dei «congiunti destini d'Italia
ed Etiopia». Appunto: santità e identità nazionale. Diceva il Duce - lo ricorda André Vauchez - che i discepoli
dell'Assisate «furono insieme missionari di Cristo e missionari d'italianità». Tommaso Caliò e Roberto
Rusconi (a cura di) SAN FRANCESCO D'ITALIA Santità e identità nazionale.(Avvenire)
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