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Don Chisciotte e San Francesco, cavalieri senza paura

Nasceva 475 anni fa lo scrittore spagnolo

Pochi personaggi nella storia della letteratura di tutti i tempi hanno la forza mitica ed evocativa di Don Chisciotte della Mancia, l’indomito cavaliere senza macchia e senza paura, scaturito dalla penna di Miguel de Cervantes Saavedra, poeta e scrittore spagnolo nato 475 anni fa, il 29 settembre del 1547.

Don Chisciotte, ossia una storia di passione, di idealismo esasperato, di amore per la letteratura che sfocia addirittura nella follia, spingendo l’hidalgo Alonso Quijano (alias Don Chisciotte) ad abbandonare la sua vita agiata per vivere in prima persona le eroiche e nobili avventure degli amati romanzi cavallereschi, scegliendo come fido scudiero il fedele contadino Sancho Panza e come “dama” la contadina Aldona Lorenza, trasfigurata nell’inarrivabile “Dulcinea del Toboso”.

Un libro che parla di altri libri, che unisce l’idealismo con il ridicolo, il grottesco in alcuni casi, e la passione con la follia, l’immaginazione con la comicità e la tragedia.

Ma cosa hanno in comune Don Chisciotte e San Francesco di Assisi? Apparentemente nulla. Don Chisciotte è un personaggio di fantasia, incarna una metafora di vita. San Francesco è un uomo reale, concreto, realmente esistito. In sintesi, si direbbe: un uomo in carne ed ossa, mentre Don Chisciotte vive nelle pagine, nelle parole, nelle righe di un testo che - seppur di fama internazionale - rimane pur sempre un libro. Ma la scelta radicale - questo è il tema, la questione importante - la compiono sia Francesco, sia Chisciotte: un cambio di vita, una conversione a qualcosa di più alto.

L’eroe di Cervantes è un ricercatore. Francesco anche. E se Don Chisciotte va incontro a dei mulini a vento, cercando di rincorrere la libertà espressa nella sua ricerca di identità più intima, Francesco - da quel momento in cui abbandona la sua vita agiata - comincia sì un viaggio per e verso il Signore, ma anche una ricerca della propria spiritualità. Francesco, prima di essere, frate Francesco, si era ammantato di una “maschera” non sua: il ricco figlio del mercante Pietro di Bernardone. Ma non è lui, gli abiti non sono i suoi. E così si spoglia di tutto perché per iniziare il viaggio si deve essere profondamente liberi, “vuoti” per riempirsi dell’unico vero bene che conta: la ricchezza della luce di Dio. E così, come Don Chisciotte, intraprende il cammino: cerca nel Signore il “vero” Francesco.

Nel personaggio creato da Cervantes, in quella sua ricerca di libertà, ognuno - in fondo - ci si può ritrovare. E così per Francesco, nulla di più vicino a qualsiasi uomo, se ci pensiamo. Basterebbe solo sentire nel silenzio il proprio “Io” - inteso non come egocentrismo o autoreferenzialità, ma un “io” che diviene verità - e iniziare il cammino. E quando si cerca il vero “io” è naturale che ci si imbatte nel cammino verso la libertà. Don Chisciotte cerca disperatamente quest’ultima. Francesco anche e la raggiunge, trasformandola anche in qualcos’altro: la libertà delle Beatitudini del discorso della Montagna di Cristo, ad esempio; oppure trasformandola - o meglio condividendola - con i propri fratelli (si chiama fraternità).

E, poi, come non ricordare il tema dell’amicizia? La storia di don Chisciotte è una storia di amicizia, quella vera, tra il cavaliere indomito Chisciotte e il suo fedele scudiero Sancio Panza. Francesco ha i suoi frati, compagni di viaggio, fedeli “scudieri” del cammino spirituale. Tutti e due hanno un sogno: un mondo migliore, più giusto, più rispettoso del Creato, senza soprusi, animati dall’ “amor cortese”: Francesco per la Vergine Maria, Don Chisciotte per la bella “Dulcinea del Toboso”. Due amori diversi, s’intende. Ma l’aggettivo “cortese” può ben essere adeguato per i due: cortese, sinonimo di “gentile”. Altro tema, la “gentilezza”: Francesco persegue questa perché sa bene che è l’unica via per poter vivere assieme nel mondo, come fratelli; Don Chisciotte, poeta e cavaliere, ci si riflette con naturalità.

Cavalieri senza macchia e senza paura, perché hanno il coraggio di andare contro a un mondo troppo spesso pieno di ingiustizie. E loro le combattono, con gentilezza.

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