Francesco e Chiara: la prossimità come fraternità-sororità universale
I due Santi vivono la prospettiva della morte vicina come prossimità
Arrivati al termine di questa nostra rubrica, non possiamo fare a meno di richiamare brevemente il particolare stile di prossimità che caratterizza Chiara e Francesco, facendosi fraternità e sororità a servizio di tutti, nella consapevolezza della prossimità di sorella morte. In senso pregnante: la prossimità della/alla morte è certa, solo l’ora è incerta. Francesco e Chiara vivono la prospettiva della morte vicina come prossimità, che apre al compimento: pienezza di comunione con Dio, con tutti e con il creato.
La relazione di Francesco e Chiara si fonda sul riconoscersi reciprocamente prossimi, a contatto con lo stesso ideale di vita evangelica. La prossimità, come reciprocità amicale ed ecclesiale nello stesso ideale di vita, trova nella relazione di Francesco e Chiara una delle icone più vive della storia, e sempre attuale. Due persone che si conoscono perché, vicine nello spazio e nel tempo, si ri-conoscono nello stesso cammino di fede, fino all’abbraccio con sorella morte. Non è questo anche il significato dell’affresco di Giotto che raffigura l’ultimo abbraccio di Chiara a Francesco morto, quando il suo corpo viene fatto passare dinanzi a san Damiano? Correttamente e con fondamento è stato detto che l’utopia di Francesco è Chiara: possiamo dirlo per la loro reciprocità, per l’amore che si portano nel manifestarsi l’uno all’altro il Cristo povero e crocifisso per amore, ossia nell’essere l’uno per l’altro «specchio di Cristo». La regola di seguire l’insegnamento e le orme del Signore Gesù Cristo (cf Rnb I,1: FF 4) in Francesco si traduceva particolarmente in prossimità verso i poveri.
Proprio a Chiara è rivolto, secondo gli studiosi, l’ultimo scritto di Francesco, religiosamente conservato nella Regola di santa Chiara: «…E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: “…Prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardatevi molto bene dall'allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l'insegnamento o il consiglio di alcuno» (Regola di santa Chiara VI, 7-9). Anche uno dei primi scritti di Francesco sembra sia stato da lui rivolto a Chiara per esortarla a seguire la via della santa povertà, come dice lei stessa nel Testamento (56-57).
La prossimità di Chiara e Francesco oltrepassa se stessa, facendosi fraternità e sororità ed esprimendosi nel servizio fraterno. Francesco, il discepolo del Signore, si pone al servizio dei fratelli tanto da definirsi «io, frate Francesco piccolino, vostro servo» (Testamento 41), e richiama i frati al servizio reciproco secondo il paradigma di Gesù che lava i piedi ai discepoli. Ugualmente sappiamo che Chiara intende la prossimità come sororità di servizio, tanto che nella Regola afferma che le sorelle possono parlare con l’abadessa come le padrone con la propria serva «poiché così deve essere, che l’abadessa sia la serva di tutte». È nota la sua prossimità umile e affettuosa verso le sorelle: «Lavava lei stessa i sedili delle inferme, li puliva con quel suo nobile animo […]. Più spesso lavava i piedi delle sorelle servienti che tornavano da fuori e dopo averglieli lavati li baciava» (CELANO, Leggenda di s. Chiara 8).
Convertendosi a Gesù Cristo, Francesco impara la logica delle prossimità e sente di volgersi, (con-vertirsi) ai fratelli più disprezzati ed emarginati. Così diviene fratello di tutti e servo di tutti, frate minore. Chiara e le sue compagne all’inizio affiancano i frati nel servizio nei lebbrosari intorno ad Assisi. Chiara e Francesco vivono il Vangelo della prossimità servendo i poveri lebbrosi con amore e attenzione. Entrambi annunciano il Vangelo comunicandolo in spirito di prossimità e atteggiamento di tenerezza, e così diventano essi stessi espressione (sacramento) della prossimità di Dio. In Francesco e Chiara la prossimità della fede si declina come attenzione e vicinanza ai poveri. Anzi è la logica della prossimità a rendere questi due cristiani credibili e sempre sorprendentemente contemporanei. È la prossimità - che si fa compassione, vicinanza e aiuto premuroso - a dire l’amore e la tenerezza di Dio.
La prossimità verso l’altro, ogni altro, riceve luce, senso, consistenza e prospettiva dalla prossimità ‘interpretativa’ nei confronti della morte, che Francesco e Chiara vivono e testimoniano come passaggio pasquale e compimento del cammino terreno. Se è vero che nella prossimità con l’altro si completa la nostra umanità, ciò è vero solo se la nostra umanità vive per sempre, vive dopo la morte. Se la vita è tempo di prossimità (= di incontro), questo tempo va verso la morte o verso la vita? La prossimità si incontra/scontra con la realtà della morte (mors certa, hora incerta); allora la domanda più seria che un essere umano può e deve porsi è se la morte abbia l’ultima parola per la relazione con l’altro. Ecco perché non c’è ‘luogo’ migliore in cui collocarsi, per scorgere verità e consistenza della prossimità, che quello della morte, della fine. L’orizzonte della morte desta la domanda della vita.
Alla luce della Pasqua del Signore Francesco vive la prossimità come relazione che non verrà tolta ma trasformata, e approssimarsi alla morte non è andare verso la fine ma passaggio a una vita intensificata e trasfigurata. Sappiamo che la sua morte infatti fu un vero passaggio pasquale, un transitus, come viene celebrato nella liturgia francescana la sera del 3 ottobre. Proprio il dialogo con sorella morte è il momento che sintetizza l’esistenza del Santo di Assisi. Le parole più celebri di questo dialogo sono quelle contenute nel Cantico di frate Sole: Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare… Questa frase è stata con ogni probabilità dettata da Francesco morente, con la precisa intenzione che venisse cantata. Nell’affratellamento universale anche «l’ultima nemica» (1Cor 15, 26) diventa sorella e introduce all’eternità.
Anche Chiara si approssima alla morte con la gioia di incontrarsi con il Signore che ha seguito facendosi prossima a tutti, con un’umanità che si esprime in discrezione e tenerezza. Così, dopo 29 anni di sofferenze fisiche, dopo 42 anni da quando ha cominciato a vivere il Vangelo sulle orme di Francesco, Chiara ringrazia il Signore. Pronta all'incontro con lo Sposo amato, benedice le sorelle, rivolge a se stessa le ultime parole: «Va’ sicura, perché hai buona scorta nel viaggio. Va’, perché Colui che t’ha creata, ti ha santificata, e sempre guardandoti come una madre guarda suo figlio, ti ha amata con tenero amore. E Tu, Signore, sii benedetto, lo quale mi hai creata!» (CELANO, Leggenda di santa Chiara 29; cf Processo di canonizzazione 3,20). Francesco e Chiara testimoniano che la prossimità diviene via di felicità solo nell’eternità dischiusa dalla prospettiva pasquale.
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