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Francesco e i suoi frati

Paolo Vian, Direttore de L'Osservatore Romano spiega il nuovo volume di Felice Accrocca, una tra le più importanti delle nostre firme

Credits Ansa

Nel decimo capitolo dei Fioretti frate Masseo formula una domanda che continua a riproporsi con legittima insistenza: «Perché a te, Francesco? Perché a te tutto il mondo viene dirieto e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'obbedirti? Tu non se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienzia, tu non se' nobile; onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?». L’interrogativo di Masseo sottolinea due punti, apparentemente contraddittori: la personalità di Francesco, non bello, né colto, né nobile, e il fascino che esercita al punto da continuare a provocare nel corso delle generazioni che si succedono innumerevoli risposte alla sua proposta cristiana. 


L'appello di Francesco e la multiforme risposta nei secoli dei suoi seguaci, religiosi e laici, uomini e donne: sono questi i due poli delle ricerche che Felice Accrocca da più di trent'anni persegue e continua a perseguire, anche dopo il mutamento di vita intervenuto poco più di un anno fa e sul quale torneremo concludendo. È fresco di stampa un nuovo volume che si aggiunge all'elenco, impressionante, di contributi dell'autore su temi francescani e clariani, fra monografie, articoli, edizioni, curatele e introduzioni (F. Accrocca, Francesco e i suoi frati. Dalle origini ai Cappuccini , Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2017, Bibliotheca Seraphico-Capuccina, 105, pagine 478, euro 35). Ha ragione Accrocca quando nota la straordinarietà di Francesco: «passano le mode, cambiano i gusti, ma lui - inaffondabile - resiste ai venti e alle burrasche storiografiche, ai mutamenti storici». Ancora più a ragione soggiunge che «tuttavia, non c'è solo Francesco. Non c'è solo il gigante solitario immerso nella solitudine della montagna. All'imponente levatura di un uomo in realtà piccolo di statura si sono infatti ispirate una miriade di persone che sul suo esempio e pur nei limiti delle loro fragilità (...) si sono sforzate di seguire le orme di Cristo, confrontandosi continuamente con quella lezione di fede e di vita che prese avvio dall'incontro con il dolore dell'umanità (...).

Il senso e lo scopo di questo volume è tutto qui: cercare di rendere ragione (...) della straordinaria e multiforme storia nata dalla conversione di un uomo che pure, per tanti anni, aveva vissuto immerso - per usare le sue stesse parole - in una condizione di peccato (...).» I due poli della riflessione di Accrocca, Francesco/compagni, si riflettono nella tripartizione del volume che raccoglie venti articoli venuti alla luce fra il 2002 e il 2016 (ma tredici sono degli ultimi cinque anni, dal 2012 al 2016; di questi, uno è in corso di stampa, un altro è inedito). Nella prima parte (capitoli I IX ) l'attenzione si concentra su Francesco e su alcuni momenti della sua vita: fra altri, i «peccati» della giovinezza nelle differenti prospettive di Tommaso da Celano e della Leggenda dei tre compagni, la benedizione o le benedizioni impartita/impartite poco prima di morire, il Natale di Greccio, l'episodio del trascinamento nudo con una corda al collo per le strade di Assisi dopo una lievissima infrazione alimentare, i rapporti col vescovo di Assisi Guido e con il cardinale Ugo d'Ostia, l' Epistola ad fideles , la presenza nell'eremo di Sant'Urbano a Narni. La seconda parte (capitoli X XV ) approfondisce il tema della memoria di Francesco nella storia dell'Ordine fra Duecento e Trecento: passando naturalmente dal già ricordato Tommaso da Celano a Bonaventura, sino allo spirituale Ubertino da Casale, intrepido difensore dell'uso povero ma anche abile "politico" e negoziatore, saldamente inserito ad Avignone nella familia cardinalizia del potente Napoleone Orsini e alla fine partigiano di Ludovico il Bavaro contro Giovanni XXII .

La terza parte (capitoli XVI XX ) prosegue il discorso della seconda concentrandosi però sul confronto con Francesco dalla fine del Trecento al Cinquecento. Fase difficile, di silenziosa incubazione e poi di pieno sviluppo di esperienze nuove, dopo la gravissima crisi dell'Ordine minoritico nella prima metà del XIVsecolo. Il radicalismo evangelico di Francesco ispirò gli Osservanti e i Cappuccini, la cui «bella e santa riforma» scaturì sempre da una «redundantia d'amore» (l'espressione è nelle Costituzioni del 1536). «La più disperata vita» di penitenza dei primi Cappuccini, di cui scrive Bernardino da Colpetrazzo, riassume, porta a compimento e trascende così il doloroso, lancinante travaglio dell'Ordine fra Duecento e Trecento.


In questa sezione, con gli articoli più recenti, Accrocca mostra di essere non solo un esperto conoscitore e attento lettore di fonti a stampa ma anche un capace indagatore di manoscritti, che continuano a nascondere sorprese, nei complessi intrecci fra volgarizzamenti, commenti alla Regola, operette devote e poetiche. Si è accennato, iniziando, al mutamento di vita intervenuto nell'esistenza dell'attivissimo prete di Cori. Dal 16 febbraio 2016 Accrocca è infatti divenuto arcivescovo metropolita di Benevento. Oltre a esercitare ancora di più la parola, non ha però lasciato la penna, non ha disertato la tastiera, non ha abbandonato la ricerca e lo studio. Il volume, che raccoglie scritti e primizie anche di questa nuova fase, assume dunque molteplici significati. Non è soltanto un ulteriore, prezioso contributo di un francescanista che, alla scuola di Raoul Manselli e di Edith Pásztor, nel laboratorio umile e operoso dell'Istituto storico cappuccino, ha imparato a leggere le fonti e a interpretarle; è anche l'insolita testimonianza di un pastore che continua a studiare e pubblicare. Del fatto, certo non comune, Accrocca presenta due spiegazioni.

Lo studio «mi ha aiutato a smaltire le tensioni che prima l'esercizio del ministero sacerdotale e ora quello ben più pesante e tremendo (nel senso letterale del termine: che fa tremare) del ministero episcopale portano inevitabilmente con sé (...), una sana evasione che mi ha consentito di non logorarmi troppo e di tornare a svolgere il mio ministero alleggerito dai pesi inevitabilmente accumulati». Nella dedica del volume «ai miei sacerdoti, diaconi e seminaristi dell'arcidiocesi di Benevento» Accrocca offre però anche una seconda, più profonda e convincente motivazione. Laddove esprime l'auspicio «che (i dedicatari) abbiano a cuore l'impegno negli studi e nella formazione e si guardino bene dal pensare – come tante volte (ahimé) mi capita di dover sentire - che "certe cose" ai fini del ministero non servono». Al contrario, «lo studio, quello vero e serio, quando è sostenuto da motivazioni autentiche, apre le menti, purifica i cuori, consente di cogliere il nocciolo essenziale delle cose, aiuta a capire e leggere in profondità il proprio tempo: tutti aspetti senza i quali ogni ministero pastorale finisce per ritrovarsi fatalmente con le armi spuntate». Sono lontani gli anni in cui, nell'epoca difficile e faticosa del modernismo e della sua repressione, ogni ricerca storico-critica era guardata con sospetto. Eppure la Chiesa vive oggi una crisi acuta e profonda nell'ambito degli studi, soprattutto storici, in particolare negli ordini religiosi.

La ricerca sembra un lusso di fronte alle drammatiche urgenze pastorali. Oltre al contributo importante sul piano dei contenuti, il volume di Accrocca ci ricorda che impostato così il problema è mal posto: la pastorale non ha nello studio un nemico ma può trovarvi piuttosto un alleato, uno stimolo, un alimento. Per una vita cristiana più consapevole e seria, per un annuncio più radicato e lungimirante. Dal cardinale Giovanni Mercati a don Giuseppe De Luca (ma i nomi anche solo nel Novecento potrebbero moltiplicarsi) la Chiesa italiana mai ha mancato di mostrare «che si può essere con l'erudizione più spinta, con la poesia più nuova, ed essere con Cristo e con la Chiesa: ecco il sogno nel quale ogni giorno cerco di tramutare la mia vita!» (De Luca a Giovanni Battista Montini, 9 gennaio 1952).

Il volume di Accrocca è dunque un invito a non abbandonare una strada feconda, a non tradire il sogno di don Giuseppe. (Osservatore Romano)

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