Francesco, uomo nello Spirito
Il rapporto del santo con lo Spirito Santo: le sue parole, gli episodi della vita
Uomo colmo di Spirito Santo, questa è la definizione che i biografi ci presentano di San Francesco: “Adolescente e involto nelle preoccupazioni terrene, non conosceva il mistero della chiamata celeste, finché scese su di lui la mano del Signore ed egli fu purificato nel corpo da una malattia grave e lunga e fu reso capace di recepire nell'anima l’illuminazione dello Spirito Santo”, così Bonaventura ci narra della presenza dello Spirito, nel momento della conversione di Francesco. E’ lo Spirito Santo, dunque, a condurre Francesco alla conversione: la sua voce ha parlato a quel ragazzo che voleva diventare cavaliere, e Francesco l’ha ascoltata, l’ha seguita. E’ la sua dolce potenza a destarlo dal sonno: uno spartiacque nella sua vita. Il soffio divino che spezza il passato e conduce Francesco in vie che mai prima avrebbe pensato. E’ questo uno dei primi elementi dello Spirito Santo che troviamo nella biografia del santo di Assisi. Altra fonte che può istruirci sulla presenza e forza dello Spirito Santo nella sua vita è Giuliano da Spira - frate del 1200 - che scrive: “E da quell’ora Francesco smise di adorare se stesso, e persero via via fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del cuore; e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla evangelica che intendeva avere, spesso e quasi ogni giorno si immergeva segretamente nell’orazione. Vi si sentiva attirato dall’irrompere di quella misteriosa dolcezza che penetrandogli sovente nell’anima, lo sospingeva alla preghiera perfino quando stava in piazza o in altri luoghi pubblici”.
Francesco vedeva lo Spirito Santo come colui che abita i nostri cuori, come presenza di tutta la Santissima Trinità. Questo stesso Spirito si rende presenza viva e vivificante sia nell’Eucarestia che nella Sacra Scrittura. Per San Francesco, ci ricorda il Celano, il dialogo con lo Spirito era pratica quotidiana, una presenza che animava ogni sua azione: “Il Padre era solito non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si presentava, l’accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a quando il Signore lo permetteva. Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi della grazia mentre era stretto da impegni o in viaggio, gustava quella dolcissima manna a varie e frequenti riprese. Anche per via si fermava, lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello Spirito e non ricevere invano la Grazia” (2Cel 95). I termini che più colpiscono il lettore sono “dolcezza”, “grazia”: parole che facilmente possono essere ricondotte allo Spirito che opera sempre dolcemente. E San Francesco lo sapeva. La sua proverbiale mansuetudine era proprio frutto di questo perenne dialogo con lo Spirito. E sempre questa presenza lo induce - molte volte - ad avere degli atteggiamenti che potevano - certamente - destare non poca meraviglia in chi era accanto a lui. Ad esempio, il Celano ci descrive un episodio assai curioso: “A volte si comportava così. Quando la dolcissima melodia dello Spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi, e la vena dell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla maniera giullaresca. Talora — come ho visto con i miei occhi — raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del Signore. Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della passione del Signore. Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo”.
Altro tema fondamentale nel rapporto tra lo Spirito Santo e Francesco è quello della sostanziale differenza tra lo Spirito del Signore e lo spirito della carne. Lo Spirito del Signore coincide con lo Spirito Santo. Quest’ultimo ci suggerisce e ci sprona a muovere i nostri passi secondo gli esempi, gli insegnamenti di “Cristo Nostro Signore”. Lo spirito della carne invece appartiene a chi attinge da una sapienza “mondana”. Lo spiega esplicitamente lo stesso Francesco nella Regola non Bollata: “…difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne. Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore, ma vuole e desidera avere una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini” (RnB 17). Francesco voleva che il capitolo di tutto l’Ordine fosse sempre celebrato per la festa di Pentecoste e inoltre soleva spesso parlare dello Spirito Santo come ministro generale dell’Ordine: “Presso Dio non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero e il semplice” (2Cel 193).
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