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Giovedì Santo, San Francesco lava i piedi ai fratelli

Umiltà dell’acqua della lavanda dei piedi

“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”: sono le parole pronunciate da Cristo dopo aver lavato i piedi ai dodici apostoli. Un atto d’amore e di umiltà profonda quella del Maestro. Non capiscono fino in fondo, loro, i discepoli che lo guardano sconvolti e increduli. Come se quel gesto fosse quasi un atto incomprensibile. È la scena che riviviamo - ogni anno, in ogni Quaresima - nella liturgia del Giovedì Santo.

Lavanda dei piedi, invito alla carità fraterna. Quella carità, che spinse Gesù a consegnarsi volontariamente alla morte e a donarsi quale cibo spirituale sotto le specie del pane. Ma qual è il vero significato della Coena Domini? E qual è il filo di quel gesto che unisce Gesù - che da lì a poco sarà condannato a morte - a frate Francesco d’Assisi? È da trovarsi in una sola parola: l’umiltà. Umiltà di quel gesto, dell’inginocchiarsi e servire i propri fratelli. L’umiltà intesa come servizio d’amore. In quell’acqua che lava, pulisce i piedi sembra rivelarsi la memoria del servire il proprio fratello. Gesù rivoluziona ogni logica umana.

Nella lavanda dei piedi vi è un mistero. È il mistero del Regno di Dio dove “chi s’innalza sarà abbassato” mentre chi “si umilia sarà innalzato”: con la forza dirompente di un gesto, viene riassunto tutto il suo messaggio in quella sua inspiegabile logica rivoluzionaria. Il potere è servizio amorevole e in cima alla piramide non ci sono né potenti né regnanti, bensì gli ultimi, i poveri, i diseredati, i deboli.

L’acqua lava e purifica. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù li perdona non “dall’alto”, col potere del Maestro, ma “dal basso”, con la comunione e la tenerezza. Indica loro un’altra via, quella della piccolezza, dell’umiltà e del perdono. Gesù compie un servizio che, in quell'epoca, esercitavano gli schiavi: lavare i piedi ai padroni, a cittadini liberi. Con questo suo atteggiamento, egli, Signore e Maestro, mostra chiaramente che non è venuto per essere servito, ma per servire.

E al servizio verso i fratelli San Francesco dedica l’intera sua esistenza. Frate Francesco fa di “sorella acqua” il simbolo dell’umiltà, definendola “utile, umile, preziosa e casta”. L’acqua infatti mai si “innalza”, mai “ascende”, ma sempre “discende”, fino a che non ha raggiunto il punto più basso. L’umiltà dell’acqua, la bellezza dell’acqua. La parola “umiltà” possiede due significati fondamentali: il primo, oggettivo, indica piccolezza o miseria; l’altro, soggettivo, che indica il sentimento e il riconoscimento che si ha della propria piccolezza. Francesco d’Assisi nella sua grandezza si reputa piccolo. Dice San Bonaventura: “Quello che un uomo è davanti a Dio, quello è, e nulla più”. E’ acqua nelle mani di Dio.

Francesco ha colto il nesso strettissimo tra l’umiltà di Dio nella figura di Cristo, in quella incarnazione che “prende vita” (letteralmente) in un lontano e piccolo paese, in una grotta, e “muore” su una Croce, assi di legno che formano una mortale struttura geometrica di tortura.

“Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote “O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori”, così Francesco scrive nella sua Lettera a tutto l’Ordine (FF 221).

Termini come “discese dal grembo”, “discende dal seno del Padre” stanno a ricordare quel senso discendente proprio dell’acqua. Un’acqua che è fonte di vita, e rimarrà - per sempre - per Francesco d’Assisi “utile, umile, preziosa e casta”.

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