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Gli ideali francescani nell’opera di Gabriele d’Annunzio

Poeta, intellettuale, esteta, politico

Nel panorama letterario italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento compare la figura di Gabriele d’Annunzio: poeta, intellettuale, esteta, politico – gli italiani lo ricordano ancora per l’impresa fiumana avvenuta poco dopo la fine della prima guerra mondiale –, innamorato delle donne, forse meno dell’amore, ma cantore di bellezza, dei piaceri della vita legati al lusso, agli sfarzi e agli eccessi di stile.

Sembra che per il poeta la misura di tutte le cose fosse la bellezza, eppure nelle sue maggiori raccolte poetiche è possibile riconoscere una inclinazione al bene che si condensa nella descrizione della natura, nella fusione degli elementi naturali con le creature umane che diventano un tutt’uno.

Ogni aspetto presente in natura si fonde con l’essenza del poeta (e della sua donna), le parole ch’egli ascolta sono parole nuove, nascono dal rumore delle gocce d’acqua e delle foglie, sanno del profumo delle ginestre in fiore, dei ginepri ricolmi di bacche profumate, risuonano nel canto delle cicale, chiamate dolcemente “figlie dell’aria”, e nel gracidio delle rane. Il volto femminile è molle di pioggia come una foglia, i suoi capelli sono profumati come i fiori, la donna stessa è una creatura che nasce dalla terra o che scaturisce idealmente dalla scorza degli alberi.

San Francesco d’Assisi fu una presenza importante nella vita del poeta, che lo definì cantore della natura, l’Orfeo cristiano, infatti nelle sue opere si viene rapiti da quelle atmosfere squisitamente francescane, da quei luoghi della campagna umbra che d’Annunzio conosceva bene e di cui andava annotando impressioni e suggestioni nei suoi preziosi taccuini.

Nelle laudi dell’Alcyone sono riconoscibili alcune componenti già attestate nel Cantico delle creature, come il verso incipitario nella formula della lode: “Laudato sia l’ulivo nel mattino” (L’ulivo); “Laudata sia la spica nel meriggio!” (La spica). Ne La sera fiesolana, in particolare, riecheggia con forza e vitalità il Cantico delle Creature: “Laudata sii pel tuo viso di perla, / o Sera”, “Laudata sii per la tua pura morte, / o Sera”. L’immagine della luna – sorella luna com’era solito definirla san Francesco –, appare nei versi del poeta abruzzese al momento del sorgere e assume il valore antico di divinità, rievocando appunto qualcosa di divino.

La spiritualità francescana affiora nel “viso di perla” della luna, che sembra pure ricordare il chiarore di alcune Madonne raffigurate nell’arte pittorica medievale. Compaiono i “fratelli olivi”, le cui foglie di un verde argenteo conferiscono loro un sembiante di santità e ascetismo, d’altronde l’olivo è simbolo di pace e di umiltà.

Gabriele d’Annunzio amò il Santo di Assisi per il profondo umanitarismo che gli permise di abbracciare con amore le sofferenze altrui, per il coraggio con cui visse la sua vita, in nome di Povertà, perché scorse in lui il messaggero della bellezza naturale; san Francesco che seppe affrontare il Sultano con le armi della pace e della bontà, che scelse di combattere come soldato per poi porsi ai piedi della croce seguendo l’esempio di Cristo. Di tutto, restano queste poesie, lodi del cielo e della terra, che rendono immortali il tempo dell’amore e della bellezza.

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