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I piedi poveri di San Francesco

La carità spiegata ai bambini, con una favola 

Corre veloce, la metropolitana. Corre e va via. Dentro un vagone, piedi nudi calpestano avanti e indietro il terreno volante. Piedi nudi, piedi di un povero. Sopra quei piedi, un corpo magro, esile che si regge appena alle maniglie. Barba incolta, espressione di un uomo che ha vissuto tanto e ha visto tanto. Ha visto le fila interminabili per avere la colazione presso qualche centro per i poveri, ha visto la povertà porsi davanti a lui tutto d’un tratto. Non la conosceva. Non sapeva cosa volesse dire “acciuffare” il cibo ovunque fosse possibile riceverlo. Corre veloce, la metropolitana. E lui, quel povero, non sa neanche dove andare. Ma corre con quella metro verso nuovi luoghi.

La gente non vede quell’uomo, perché corre. Come la metropolitana. Eppure quell’uomo non è invisibile. Seppur gracile è presenza umana. I piedi nudi continuano a camminare da un vagone all’altro. Non velocemente, ma a piccoli passi. Quasi a stento. Si vergogna di farsi vedere in quello stato, nuovo per lui. Per gli altri, invece, sembra quasi che nulla di nuovo sia sotto il sole. Così si legge nel Qoelet della Sacra Scrittura. Corre veloce la metro e porta tutti da una stazione all’altra: chi al proprio posto di lavoro, chi a fare shopping in centro, chi a fare una passeggiata. 

I piedi nudi pensano: noi dove andremo? Dove riposeremo, almeno per un attimo? Dove ci ripareremo dal freddo o dalla pioggia? Anche i piedi pensano e non lo sapevo. A un certo punto, scendono dal vagone. Accanto a loro, così d’un colpo, si presentano altri due piedi, nudi anch’essi. Cominciano a camminare assieme. Cominciano a cercare posti di riparo, o dove poter vivere almeno un attimo di spensieratezza. Si incamminano, allora, i quattro piedi nudi verso una montagna mai esplorata. Cosa ci fanno lì? E dove sono diretti?

Entrano in un bosco, in pieno giorno, alla luce del sole, alla luce del Cielo. Non si nascondono più. Il passo dell’uomo gracile comincia ad essere più spedito, perché non più solo. La traversata, ora, diviene più semplice: il povero ha un compagno con cui condividere il cammino.  Anzi, sono propri i piedi dell’ “altro” ad indicargli la strada. 

Assieme si dirigono sempre più verso il sole: si chiama speranza. Arrivati alla meta, i piedi del povero chiedono: “Chi siete? Chi vi spinge a seguirmi?”. E loro: “Siamo anche noi,  piedi di un povero. Si chiama Francesco e veniamo da Assisi. Ma la nostra meta è il mondo. Ci dirigiamo dove le persone hanno bisogno. Condividiamo, così un sogno che non vuole essere solo nostro. Gli unici calzari che conosciamo hanno nome carità. Siamo spinti dal Signore che sempre la strada ci indicherà”.  (Rivista San Francesco - clicca qui per scoprire come abbonarti)

 

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