I sogni di gloria di Francesco
Tre biografie con tre raccolte
Nel gennaio del 2015 Jacques Dalarun ha scoperto in un codice della Bibliothèque Nationale un nuovo testo agiografico, la Vita beati patris nostri Francisci di Tommaso da Celano, ch’egli ha proposto di denominare legenda brevis. Il minorita abruzzese avrebbe quindi steso non due Vite di Francesco, ognuna dotata di una raccolta di miracoli, bensì tre biografie con tre raccolte.
La scoperta riapre la “questione francescana” ma in questa sede non entrerò in tale generale e impegnativo tema. Chissà se nel corso degli anni la nuova Vita tommasiana ha offerto diverse prospettive a Barbara Frale, della quale la torinese UTET ha pubblicato nel 2016 un interessante e coraggioso libro, La guerra di Francesco. Gioventù di un santo ribelle.
Le Enfances sono componimenti epici che narrano le gesta d’illustri eroi quando essi erano ancora piccoli: esse derivano da analoghi componimenti latini e in alcuni casi (le Enfances di Carlomagno o di Rolando, per esempio) sono celebri. Tuttavia, senza dubbio, nella vita di un essere umano i primi anni sono quelli per un verso decisivi, per un altro più difficili a ricostruirsi e a commentarsi.
Per quanto riguarda Francesco, essi avevano già alcuni anni or sono attratto l’attenzione di Alessandro Barbero che a lui aveva dedicato un capitolo del suo Un santo in famiglia. Barbara Frale tuttavia affronta nel suo libro un argomento specifico, di solito evitato (ma che ha tuttavia ispirato alcuni saggi anche notevoli): quello dei sogni giovanili di gloria nutriti dal Santo, delle sue fantasie cavalleresche e di come le differenti fonti hanno presentato entrambi questi temi.
Barbara Frale è nota per essere una studiosa dell’Ordine del Tempio e in particolare del celebre processo che preluse al suo scioglimento per volontà di papa Clemente V. È logico che, in lei, l’ipotesi che il giovane Francesco, sognando la cavalleria, abbia pensato a uno degli Ordini militari che nel suo tempo erano fiorenti e la croce rossa ch’egli vede appunto nel sogno del castello delle armi – una croce che figura nella versione biografica bonaventuriana non però in altre – potrebbe in qualche modo alludere, specificamente, ai Templari.
C’è contraddizione tra una sua eventuale vocazione “templare” (che sottintendeva l’accettazione della castità) e il vagheggiamento dell’amore per una bella dama? No, certo, se quest’ultima s’intende in modo allegorico; semmai, a far pensare che il giovane assisano fosse interessato alla “cavalleria mondana” c’è il suo spiccato amore per le belle vesti e per i sontuosi apparati, per quanto essi stessi siano suscettibili d’interpretazione allegorica.
Resta comunque il mistero della conversio che se per Martino comportò l’addio alle armi – com’è splendidamente affrescato da Simone Martini nella basilica inferiore – per lui comportò l’addio al sogno di esse.
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