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Il Cantico della bellezza di Antonio Presti

Lo scrittore israeliano Meir Shalev lo ha definito: «Il sognatore che realizza i propri sogni»

Lo scrittore israeliano Meir Shalev lo ha definito: «Il sognatore che realizza i propri sogni». Chi entra nel mondo di Antonio Presti, infatti, viene inevitabilmente travolto dalla sua energica voglia di conferire bellezza a tutto quel che gli passa davanti. Antonio Presti è un mecenate, ma anche e soprattutto un artista. Presidente della "Fondazione Fiumara d’Arte”, incastonata nel cuore di piazza Stesicoro a Catania, Presti coltiva da anni nell’umanità formicolante della periferia l’utopia della bellezza e dell’arte; per farlo ha scelto Librino, il quartiere demograficamente più giovane della città etnea, dallo scenario un po’ sospeso e un po’ desolante, che imprime nell’immaginario collettivo suggestioni e verità piene di contraddizioni.

Perché proprio Librino?
«Perché Librino è una “città-satellite” – come lo Zen di Palermo e Scampia a Napoli– lasciata per troppo tempo ai margini. Il quartiere vanta la presenza di settantamila abitanti, con diecimila ragazzi in età scolare. Me ne sono innamorato perché è un luogo metafisico capace di accogliere tutte le espressioni artistiche contemporanee. Oggi è un contenitore riservato agli artisti desiderosi di condividere bellezza con gli abitanti del quartiere, principalmente con i più giovani che proprio attraverso gli stimoli d’arte stravolgono la loro quotidianità e il loro modo di vedere il mondo».

La sua è una «scelta etica». Così l’ha definita Maria Luisa Spaziani
Sì, perché la bellezza non si manifesta per riqualificare ma per riassettare i codici etici. L’azione etica che la cultura infonde nelle periferie ha la funzione di riaffermare la dignità degli abitanti, innescando in ogni singola persona il valore della legalità, la filosofia del “fare” e non quella del “chiedere”. La parola d’ordine non è “recuperare” ma “restituire” ai ragazzi nati in queste realtà cittadine la possibilità di raggiungere la conoscenza – come veicolo di libertà e come fondamento di democrazia – che permetta loro di imparare a guardare il mondo con occhi diversi».

La bellezza è per lei un motivo ricorrente
«È proprio dalla mia continua ricerca che nel 2009 a Librino abbiamo inaugurato “La Porta della Bellezza”, un’opera monumentale decorata con novemila bassorilievi in terracotta realizzati da duemila bambini del quartiere, che hanno trasformato un arrogante muro in cemento armato lungo tre chilometri in un virtuoso simbolo di armonia e legalità. “La Porta della Bellezza” è prima di tutto un esempio educativo, di condivisione e rispetto. In molti temevano atti di profanazione e vandalismo, e invece così non è stato. Anzi, viene protetta come un semaforo dell’anima, come un emblema identitario, come un varco d’accesso al bene comune».

A Librino ha donato anche un’ installazione monumentale fotografica, liberamente ispirata al Cantico di San Francesco
«Sì. Abbiamo coinvolto tutte le parrocchie, le scuole, le associazioni e le attività commerciali del territorio nei laboratori fotografici che hanno visto all’opera per diversi mesi – oltre a migliaia di cittadini – una serie di maestri della fotografia contemporanea. Abbiamo richiamato la società civile alla rigenerazione dell’anima universale, volgendo lo sguardo a quella periferia catanese da sempre amata e da vent’anni al centro dei suoi grandi progetti culturali. “Il Cantico di Librino” risplende nel quartiere, riportando nelle strade la luce dello spirito. Attraverso quel “Laudato sii” ognuno di noi si scollega dall’ordinario e si ricollega all’universale. È una via assoluta di bellezza, che insegna a distogliere lo sguardo dal telefonino per ammirare e apprezzare il Creato, così come San Francesco ci ha insegnato nell’antica preghiera composta intorno al 1224. Dopo Librino, il “Cantico” si è esteso in tutte le comunità dell’Etna e della Valle dell’Alcantara, e anche lì – attraverso i laboratori fotografici e le successive installazioni – abbiamo creato un percorso che non nasce soltanto dall’identità di quei popoli ma dall’affermazione dell’essere più uniti spiritualmente».

Perché ha scelto l’emblematica figura di Francesco d’Assisi?
«Perché in questa società implosa – in cui si manifestano l’arroganza e la violenza, la dittatura di un’economia che si afferma distruggendo il codice dei valori dell’Essere, e la corsa al dover apparire a ogni costo – una figura come quella di Francesco è fondamentale. La rinuncia al consumo e al possesso ci indica la via della bellezza più autentica».

Lo ha fatto anche lei?
«Sì, a modo mio ho rinunciato all’egocentrismo dell’Essere e al valore del possesso. Anche io mi sono spogliato dei miei beni in nome di una devozione alla bellezza e all’essere cittadino. San Francesco oggi può rappresentare l’ammonimento del sistema che ci sta portando alla distruzione. Il guadagno in questa contemporaneità si chiama rinuncia; rinuncia a non appartenere a questo ordinario mortificante che riporta l’uomo a una condizione di animalità. Soltanto così potremmo riconnetterci nuovamente agli stati emozionali».

Gli stati emozionali sono fra i pilastri della sua missione a Librino
«Ogni volta che ci dimentichiamo di avere un’anima, se ci fa caso, viene fuori la bestia feroce. La nostra contemporaneità è dominata dalla rabbia, da persone incapaci di ascoltare; abbiamo perso di vista l’estasi della meraviglia e il piacere dello stupore. L’unica soluzione è la sete di conoscenza, attraverso cui si annientano tutte le sovrastrutture mentali e comportamentali. L’arte perciò è il medium universale che mette in contatto l’uomo con le sue emozioni. Le due opere installate a Librino – “La Porta della Bellezza” e “Il Cantico” – hanno assunto anche un valore educativo. Un’educazione maieutica che come prima istanza tocca le corde del cuore e poi successivamente innesta in quel cuore emozionato, spesso abbandonato, la gioia del sentirsi creatura-protagonista dell’Universo».

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