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L'insegnamento di san Francesco ai tempi della quarantena

Viviamo giorni di ritiro forzato, nei quali – volenti o nolenti – siamo resi tutti partecipi della grazia dell’eremo. Possiamo viverli, questi giorni, come leoni in gabbia, nervosi e tristi perché non passano mai, oppure trasformarli in un’occasione di grazia: come un tempo, cioè, che ci è dato per rinsaldare i legami familiari e per intensificare il nostro legame con Dio.

Grazie soprattutto alla Leggenda dei tre compani, sappiamo che da giovane Francesco riservava agli amici tutte le sue attenzioni, alzandosi subito da tavola, senza neanche aver finito di mangiare, lasciando i genitori rattristati per la sua improvvisa partenza. Un tratto, questo, di sorprendente umanità, con notazioni che difficilmente ritroviamo in altre opere agiografiche. Era, Francesco, un giovane attento a se stesso, alla propria immagine, proteso verso gli amici, poco attento ai suoi genitori, che pure gli permettevano di essere quel che era e di spendere ancor più di quanto la sua condizione gli avrebbe permesso. Un giovane sì generoso e gioviale, ma anche desideroso stupire e far parlare di sé, poco attento, in fondo, ai problemi più veri degli altri. Chissà quante volte i genitori l’avranno rimproverato di aver scambiato la casa per un albergo…

Poi, a un certo momento, in casa fu costretto a starci per cause di forza maggiore. Tommaso da Celano è l’unico, tra i suoi agiografi, a riferire che Francesco, convalescente da una malattia, camminava a stento dentro casa, appoggiandosi a un bastone; un giorno uscì a passeggiare, ma la bellezza della campagna circostante non riusciva a dargli più alcun diletto; considerò, anzi, stoltissimi tutti coloro che amavano tali cose, tanto che egli stesso restò meravigliato di un tale cambiamento.

Da allora, dice Tommaso, cominciò a non far troppo conto di sé e, in qualche modo, a disprezzare tutto quanto prima aveva ammirato e amato. Questa malattia, probabilmente, fu conseguenza dell’anno di prigionia trascorso a Perugia, che minò un fisico già delicato. Non sappiamo quali pensieri gli passarono per la mente durante quell’esilio forzato: vi saranno stati, probabilmente, momenti di rabbia e ribellione, ma da quanto riferisce l’agiografo quei giorni lo spinsero anche a rientrare in se stesso, a guardare in fondo alla propria anima.

Poi la svolta, l’incontro con Gesù attraverso il dolore degli uomini: nelle piaghe dei lebbrosi egli scoprì la carne di Cristo. L’appartarsi in luoghi ritirati, il rinchiudersi nella sua cella divennero allora per lui occasioni dolci d’incontro con il suo Signore. Come quella volta che a Roma, dopo essere stato per alcuni giorni ospite del cardinale Ugo di Ostia, si recò a trovare Leone, cardinale di Santa Croce. Questi insistette perché Francesco si fermasse da lui: in quel tempo, soggiornava lì frate Angelo Tancredi, che fu uno dei primi dodici frati. Lui suggerì a Francesco di fermarsi in una torre nella quale avrebbe potuto vivere appartato come in un eremo. Francesco andò a vederla e gli piacque; acconsentì perciò a fermarsi per alcuni giorni, con grande gioia del cardinale. Riferiscono i compagni del Santo che “frate Angelo allora andò a preparare un alloggio nella torre, in modo che il beato Francesco con il suo compagno potesse abitarvi giorno e notte, poiché egli non intendeva discendere da là in nessun momento della giornata, finché fosse rimasto ospite del cardinale Leone.

Lo stesso frate Angelo si offrì di portare al beato Francesco e al compagno quotidianamente il cibo, lasciandolo fuori, in modo che né lui né altri entrassero a disturbare”. Sappiamo come poi andò a finire, che cioè vi rimase ben poco, perché una tale sistemazione gli sembrava troppo comoda e gli altri frati avrebbero potuto trarne occasione per mormorare, dicendo: “Noi sopportiamo tante avversità, e lui si prende i suoi agi!”…

Forse anche noi, trascorsi questi giorni d’isolamento forzato e tornati alla vita tumultuosa e concitata, sempre di una corsa e sempre in affanno, torneremo con la mente a quei frangenti nei quali abbiamo avuto più tempo a disposizione; felici certamente di esserne usciti indenni noi e i nostri cari (Dio lo voglia), ma con un poco di nostalgia per la passata calma divenuta ormai un ricordo. Cerchiamo allora di prendere la faccia buona della medaglia e approfittiamo di questi giorni, come si diceva, per rientrare in noi stessi e per rinsaldare i legami tra noi e con Dio.

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