L'obbedienza salva la vita
Un percorso per scoprire l'attualità e l'universalità della Regola non bollata
Risale al 1221, esattamente 800 anni fa, la stesura della cosiddetta Regola non bollata. Si tratta della regola di vita che san Francesco diede ai suoi frati e che essi discussero nel grande raduno – il Capitolo – convocato nel giorno di Pentecoste. Tale regola è intessuta di citazioni bibliche e vi compaiono anche alcune preghiere di grande forza mistica. Forse a causa della presenza limitata di indicazioni normative se ne dovette attendere una nuova stesura, più asciutta, che fu approvata (bollata) da papa Onorio III nel 1223. La Regola è chiaramente rivolta ai frati, ma vi si possono incontrare indicazioni preziose per tutti, che possono essere contestualizzate anche nell’esperienza e nella vita di oggi. È quello vorrei fare nei miei brevi contributi di quest’anno. Proprio all’inizio del testo si dice «la regola e la vita dei frati è la seguente, cioè vivere in obbedienza...».
Da tempo rifletto sul fatto che ci sono obbedienze che ci accomunano tutti, frati, laici, credenti non credenti... In primo luogo l’obbedienza alla nostra storia. Ciascuno di noi ha alle spalle un’esistenza più o meno lunga, fatta di vicende liete e tristi, di successi e di errori; ciascuno è dotato di un determinato carattere, una propria personalità... tutto ciò non ci predetermina per sempre, perché siamo dotati di libertà e creatività, ma certo non possiamo negare che tali elementi condizionano in qualche modo la nostra esistenza, il nostro modo di percepire, di considerare, di affrontare la quotidianità. C’è anche un’obbedienza all’oggi: inquesto tempo difficile di pandemia ne siamo fortemente coscienti. Al di là delle normative emanate dalle autorità per contenere l’avanzata del virus, sentiamo la necessità di obbedire responsabilmente a criteri di prudenza. Potremmo dire che in questo caso l’obbedienza... ci salva la vita.
Ma a pensarci bene non solo in questo caso. Lo sapeva bene l’autore biblico, quando narrò che Dio comandò all’uomo e alla donna, appena creati e posti nel giardino di Eden, di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché altrimenti sarebbero andati incontro alla morte (cf Genesi 2,17).In un suo testo molto significativo, l’indimenticato vescovo don Tonino Bello raccontava: «Obbedire deriva dal latino ob-audire, che significa: ascoltare stando di fronte. Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch’io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari». Obbedire è in fondo un atto di libertà in cui riconosciamo che il bene nostro e di tutti passa attraverso una relazione profonda e responsabile con la nostra stesa vita, con quella degli altri e del mondo, con Colui che ci ha creati e ci amacosì tanto da non volere la nostra morte.Obbedire è coinvolgersi e lasciarsi coinvolgere liberamente in questa storia d’amore, riconoscendone il dono prezioso.
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