LA BONAVVENTURA DI UNA LEGGENDA MINORE
Nel 1266 il capitolo di Parigi decide di distruggere tutte le leggende precedenti per usare unicamente quella di Bonaventura
Nel calendario 2017 sono già diverse le iniziative che si affollano a livello internazionale dedicate a frate Bonaventura, in occasione di questo anno in cui convenzionalmente ricordiamo l’ottavo centenario della sua nascita. Il frate, il maestro, il ministro, il vescovo e, infine, il santo avrà modo di essere encomiato o criticato, visto anche la complessità della sua persona e degli incarichi rivestiti nella sua vita.
A me qui solo il compito di sgombrare la sua immagine da un pregiudizio che rischia di inficiare una lettura serena della sua produzione agiografica. Si deve, infatti, al ministro generale la compilazione della Vita del beato Francesco, meglio nota come Leggenda maggiore, e della Leggenda minore. La prima è la riscrittura della vita e dei miracoli del santo fondatore a partire sostanzialmente dalle agiografie di Tommaso da Celano; la seconda una versione abbreviata della medesima per uso liturgico.
Questa è organizzata, infatti, in sette capitoli, uno per ogni giorno della festa di san Francesco che con l’ottava si protraeva per otto giorni; ciascun capitolo è poi diviso in nove paragrafi, quante sono le letture per il mattutino per le ricorrenze solenni: si arriva così ad un totale di sessantatre paragrafi. Queste due opere furono commissionate a Bonaventura nel capitolo di Narbona del 1260 e molto probabilmente già nel 1263 furono presentate al capitolo di Pisa per l’approvazione dell’assemblea dei Minori.
Quindi nel 1266 il capitolo di Parigi decide di distruggere tutte le leggende precedenti per usare unicamente quella di Bonaventura. Questo decreto avrebbe così sancito la fine, o quasi, delle vite più antiche dedicate a san Francesco, decretandone una vera e propria damnatio memoriae, con la conseguenza che Bonaventura, soprattutto dopo gli interventi dello storico protestante Paul Sabatier, risultasse dipinto di fosche tinte di sabotatore e occultatore delle testimonianze dei compagni di Francesco.
Tutto ciò semplificando è quello che gli specialisti identificano come “questione francescana” su cui si dibatte ormai da più di un secolo. Avendo iniziato uno studio sulle fonti liturgiche inerenti san Francesco (Franciscus liturgicus. Editio fontium XIII saeculi, a cura di F. Sedda con la collaborazione di J. Dalarun, Edizioni Francescane, Padova, 2015) ho avuto, credo, l’occasione di affrontare la “questione francescana” da un’altra prospettiva.
Questo nuovo punto di osservazione mi ha consentito di formulare una nuova ipotesi di interpretazione dello statuto parigino e indirettamente di liberare Bonaventura da questo velo delatorio. Vado a spiegarmi! Tutto lo statuto ruota intorno al significato di due lemmi. Il primo, deleantur, che viene comunemente inteso come ‘siano distrutte’, mentre più specificamente significa ‘siano cancellate’. Infatti la pergamena che veniva usata per i libri medievali, di solito non veniva distrutta, ma raschiata per renderla riutilizzabile, visto anche il valore economico che essa aveva. Una comunità di frati mendicanti, professanti la povertà, non poteva certo permettersi di distruggere interi codici per un valore incalcolabile. Del resto Jacques Dalarun, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, ha rinvenuto un testimone particolare dell’attuazione di questo decreto (si tratta del ms. segnato Reg. lat. 1738); esso, infatti, presenta una rasura parziale delle lettere, delle aste verticali delle lettere come dei segni di abbreviazione, tale da rendere illeggibili le sole letture dell’ufficio sia della festa natale di san Francesco (4 ottobre) che della sua Traslazione (25 maggio).
In tal modo le altre parti dell’ufficio erano preservare e la nuova leggenda liturgica di Bonaventura veniva integrata in un fascicolo aggiunto poco più avanti. Io stesso ho trovato in un altro breviario minoritico della metà del XIII secolo (si tratta del ms. Roma, Casanatense, 250) un secondo esempio di rasura delle letture dell’ufficio in parte sostituite dalla Leggenda minore. Il secondo termine chiave dello statuto è legenda. Essa viene intesa generalmente come sinonimo di vita, ovvero scrittura agiografica su un santo, ma in senso più proprio e etimologico sarebbe da intendersi come ‘da leggersi’, e dunque con una chiara allusione alla leggenda liturgica da leggersi per il mattutino. Non vi sono dubbi, poi, a quale leggenda lo statuto si riferisca: è quella compilata dal ministro generale.
La disposizione del capitolo di Parigi del 1266 non deve, quindi, essere considerata come la volontà di Bonaventura di condannare all’oblio quanto lo avesse preceduto, ma piuttosto come il desiderio di porre ordine nel magmatico mondo delle compilazioni/leggende liturgiche, che il capitolo di Roma del 1257 già aveva sollecitato: «si ponga ordine alla leggenda su san Francesco e di tutte se ne compili una buona». Questo statuto non decreta, dunque, la ‘malavventura’ di tutte le vite pre-bonaventuriane, ma la ‘bonavventura’ della liturgica Leggenda minore. (Filippo Sedda - Storico del francescanesimo - per San Bonaventura Informa )
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