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La legge dell'amore

L'omelia del Custode fra Marco Moroni nella celebrazione di domenica 6 ottobre

Proponiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata dal Custode del Sacro Convento fra Marco Moroni, OFMConv, durante la celebrazione che si è tenuta questa mattina nella chiesa superiore della Basilica di San Francesco in Assisi in diretta su Rai1.

6 ottobre 2024
XXVII Domenica del Tempo Ordinario B
Basilica Papale di San Francesco in Assisi, Chiesa superiore
Omelia

Fratelli, sorelle.
Sono termini che utilizziamo spesso noi sacerdoti, soprattutto nelle nostre omelie.
Ed è bello usarli qui questi termini, davanti a voi presenti e a voi che ci seguite attraverso gli schermi televisivi.
Sì, perché Francesco d’Assisi, di cui abbiamo celebrato da poco la festa e al quale è dedicata questa basilica – luogo dove sono custodite le sue spoglie – aveva fatto suo l’ideale di una fraternità universale dalla quale nessuna creatura poteva essere esclusa. E allora chiamava fratello pure il sole, il fuoco e il vento, e sorella l’acqua, la luna, addirittura la morte, tanto più le persone, uomini e donne, perché tutti riconosceva come figli di un solo Padre.
Quel Padre, l’abbiamo ascoltato nella prima lettura, ha talmente a cuore la sorte dell’uomo, da volergli fare “un aiuto che gli corrisponda”, perché “non è bene che l’uomo sia solo” e, non contento di avergli donato ogni specie di animali, gli dona la donna, qualcuno che gli stia di fronte, qualcuno da guardare negli occhi e da cui essere guardato, con la stessa dignità e gli stessi diritti, nell’uguaglianza e nella singolarità di ciascuno.
Essere due è il principio dell’alterità, della differenza, della relazione e della comunione; è l’inizio dell’essere molti, della realizzazione della fraternità.
La relazione con l’altro è bisogno umano primario, imprescindibile, valore da perseguire per non incorrere nel dramma della solitudine e dell’isolamento.
Ma la relazione è anche sempre esposta a dei rischi.
Il primo rischio è che venga vissuta come una proprietà, come volontà di impossessarsi dell’altro, di dominarlo, di sopraffarlo, di gestirlo; invece non posso possedere l’altro, perché non è un oggetto a mia disposizione. Nel racconto della Genesi che abbiamo ascoltato, ciò è messo in luce in modo efficace: nessuno dei due esseri viventi è consapevole dell’origine dell’altro; Dio addormenta l’uomo quando crea la donna ed essa non era presente alla creazione dell’uomo.
Il secondo rischio della relazione con l’altro è quello dell’incomprensione, del conflitto, della lacerazione e dello strappo.
I farisei, volendo ancora una volta mettere in scacco Gesù, gli rivolgono una domanda insidiosa rifacendosi alle norme che aveva dato Mosè per garantire la possibilità della rottura dei rapporti, riducendo quella che è la relazione per eccellenza, il matrimonio, ad un possesso della donna da parte dell’uomo.
Ma come sempre Gesù, nel rispondere, non si ferma alle regole minuziose, ma esplora orizzonti più alti e richiama la ricchezza inesauribile del progetto iniziale di Dio, quell’“in principio”, quell’inizio della creazione che abbiamo da tenere sempre davanti agli occhi come riferimento essenziale, come punto focale, fonte, fondamento e allo stesso tempo meta e destinazione di ogni relazione umana.
Dicendo che “i due diventeranno una carne sola” ci ricorda che le ferite dell’uno sono ferite dell’altro, che se uno fa del male all’altro danneggia anche se stesso, perché i due “non sono più due, ma una sola carne”.
Non solo: Gesù si pone nel solco dei profeti dell’Antico testamento che avevano guardato al rapporto sponsale come metafora della relazione tra il Dio fedele all’alleanza e il suo popolo, l’umanità intera, incapace di fedeltà.
Il Dio fedele è sempre in cerca del suo popolo, lo attira nuovamente a sé, non si perde d’animo e ritorna a stipulare l’alleanza infranta dall’umanità che si è allontanata a causa del peccato.
Il Dio paziente e fedele è il Padre che ha mandato suo Figlio per celebrare nuovamente e definitivamente, nella sua carne, le nozze con il suo popolo.
Per Gesù allora la verità profonda cui il matrimonio, così come ogni altra relazione umana, deve riferirsi è la relazione che da sempre segna la storia della salvezza: una relazione di donazione totale che non può essere facilmente sciolta con una legge, perché è segno della donazione totale che Cristo Sposo ha fatto di sé alla sua sposa che è la Chiesa e l’umanità. Alla scuola di Dio che ci insegna la via dell’amore, anche l’unione tra uomo e donna diventa annuncio profetico del Regno.
Alla sua scuola, allora, ciascuno è chiamato a non desistere dall’amare, anche quando la relazione, sia essa matrimoniale che fraterna, si fa difficile; quando l’altro non è più amabile e sembra diventare esso stesso, essa stessa, un ostacolo, un’insidia. La sfida di Gesù è quella di non fermarsi a decretare il fallimento, la rottura definitiva, ma a coltivare pazienza, perdono, attesa dei tempi dell’altro, sacrificio, sopportazione, sottomissione.
D’altra parte, anche quando gli viene chiesto qual è il comandamento più grande, egli ricorda che è quello di amare Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente, tutte le forze e di amare gli altri come se stessi.
È ciò che lui stesso porta a compimento, amando fino alla fine, aprendo a tutti la via dell’amore senza misura.
È questa la legge esigente con la quale Gesù supera ogni norma, è la legge a cui anche Francesco d’Assisi volle obbedire, la legge per la quale amiamo chiamarci fratelli e sorelle.

 

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