La 'magna charta' di una vita di fraternità
La nuova enciclica del Papa prende le mosse da un’affermazione di san Francesco d’Assisi
La nuova enciclica del Papa prende le mosse, e trae il suo titolo, da un’affermazione di san Francesco d’Assisi, tratta dalle sue Ammonizioni. Queste, com’è noto, ci conservano traccia dei discorsi che Francesco, in quegli anni difficili, rivolgeva ai suoi frati; si tratta di brevi testi che ci consentono anche di capire quanto la vita di fraternità e i rischi ai quali essa era esposta gli stessero particolarmente a cuore.
Testimoniano, altresì, le lotte alle quali, ancora una volta, egli invitava i propri fratelli, perché si mantenessero fedeli alla vita «secondo la forma del santo Vangelo», che gli era stata rivelata dall’Altissimo. La prima grande lotta alla quale erano chiamati era l’accoglienza del dono di fede. Accoglienza, dono: la fede è dono, prima di tutto; ma dono che va accolto e fatto fruttificare in un terreno buono. L’uomo che è capace di «vedere» con occhi di fede e di «credere» alla Parola del Signore guarderà tutto con occhi nuovi: sarà in grado di valutare con sapienza i beni della terra, assegnando a ciascuno il loro valore. L’uomo che non crede scommetterà tutto sui propri beni, riterrà sua proprietà ciò che è invece dono di Dio, e alla fine condividerà la sorte del morituro impenitente.
Non a caso le Ammonizioni si aprono con quel grande discorso «sul Corpo del Signore» che è, in realtà, un grande discorso sulla necessità della fede. Chi sa vedere e credere guarderà uomini e cose con occhi di fede, saprà discernere bene e male e saprà riconoscere il vero nemico contro cui lottare: il peccato, che spinge l’uomo alla disobbedienza, all’appropriazione indebita dei doni di Dio, e riduce il corpo in schiavitù. Il vero servo di Dio, perciò, ha un criterio infallibile per comprendere se ha in sé lo Spirito di Dio. «Se quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua “carne” non se ne inorgoglisce, ma piuttosto si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima minore di tutti gli altri uomini», allora egli può essere certo che a muoverlo è quella «luce beatissima» senza la cui «forza nulla è nell’uomo, nulla senza colpa» (Sequenza di Pentecoste).
Allo stesso modo, può ritenersi guidato dallo Spirito che viene dall’alto quando non «si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro», poiché «quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più». Quando è privo di questo discernimento, che lo spinge ad appropriarsi del bene altrui e perciò lo rende disonesto, l’uomo non è più capace di distinguere il suo vero nemico, cioè il proprio corpo. Non si rende conto che non può gloriarsi di nulla, «poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini», mentre è vero che proprio l’uomo continua a crocifiggere il Signore quando si diletta nei vizi e nei peccati. Tenderà perciò a manifestare agli altri «i beni che il Signore gli mostra», non con le opere, bensì «a parole», «col vano pretesto di una ricompensa», così che né lui né gli altri ne traggano frutto, a differenza del religioso che agisce in maniera diametralmente opposta, «poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà».
Nelle Ammonizioni Francesco invita dunque i frati — ma la sua esortazione a una vita evangelica, come mostra un celebre passo della Regola non bollata, si rivolge a tutti, a «uomini e donne», a «tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, razze e lingue» — a una lotta profonda con se stessi, per aderire senza riserve al Signore Dio e consegnare a Lui la propria vita. La sua è una proposta di fede che non conosce cedimenti e mantiene nel tempo, pur con accentuazioni diverse in situazioni via via differenti, una straordinaria compattezza. Dal momento, però, che tale proposta doveva essere vissuta insieme da coloro i quali, dietro il suo esempio, avevano scelto di essere Frati minori, le Ammozioni insistono anche sugli aspetti della vita fraterna: Kaietan Esser le ha definite «la Magna charta di una vita di fraternità», «uno “specchio della perfezione” per il francescano». La lotta che ognuno riesce ad ingaggiare con se stesso include — necessariamente — anche una diversa partecipazione alla vita fraterna, poiché l’uomo che si chiude a Dio rifugiandosi nel proprio io, si chiude pure ai fratelli.
La Regola non bollata invitava ministri e predicatori, qualora fosse stato loro richiesto, a rimettere il proprio incarico senza alcuna resistenza. La raccomandazione ritorna, con insistenza, nelle Ammonizioni, testimonianza inequivocabile di un crescente disagio. Non solo. Francesco si trova costretto a stigmatizzare la disobbedienza e a mettere in guardia i suoi frati dal peccato dell’invidia, ricordando come chi se ne lascia vincere «commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene». La correzione veniva accolta con sempre minor pazienza e rassegnazione. Le Ammonizioni XXIV e XXV, le quali invitano i frati alla vera dilezione nei riguardi dei propri compagni, ci consentono di capire che l’insistenza su questo aspetto appare motivata proprio dal fatto che la reciproca dilezione, vissuta in modo eroico dai primi frati, non era più, ormai, un dato scontato.
Ma c’era anche un altro motivo d’orgoglio che cresceva paurosamente, ancor più insidioso, e contro il quale bisognava combattere con tutte le forze: era l’orgoglio che nasceva dalla consapevolezza di aver scelto, con la vocazione francescana, la parte migliore; un orgoglio che portava a dimenticare gli impegni che a quella scelta erano indissolubilmente connessi e spingeva invece a trarne possibili vantaggi. Eloquente si rivela, a questo proposito, l’Ammonizione VI, da cui appunto la nuova enciclica prende il titolo. Francesco, dopo aver ricordato il sacrificio delle pecore che avevano seguito il Signore sulla via della croce e per questo avevano ricevuto da Lui come ricompensa la vita eterna, proseguiva: «Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi abbiano compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle!». La nuova enciclica ci fa riflettere sul tema della fraternità, ciò che è provvidenziale in un tempo nel quale un virus insidioso ci spinge, inconsapevolmente o meno, a vedere negli altri dei potenziali nemici. Pure la lettura delle Ammonizioni di frate Francesco potrà aiutarci in questo percorso, difficile ma liberante! (Osservatore Romano)
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