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La Novena di Natale - L'uscita da Gerusalemme

Ultimo appuntamento con il viaggio alla scoperta delle scene dell'infanzia di Gesù

Siamo giunti all'ultimo capitolo di questo percorso, un viaggio fatto di mille peripezie e difficoltà, di imprevisti e sorprese che stravolgono un'esistenza. Un cammino fatto anche di gioie, di incontri che aprono prospettive nuove, di illuminazioni. Di fughe notturne e di lieti ritorni, di dolori e violenze, ma anche di abbracci e di prove di solidarietà. Nove tappe intrise di fede e di arte. A questo proposito, tornano alla mente le parole di Marc Chagall (1887-1985), il grande artista bielorusso di origine ebraica, secondo cui «i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia». Nove tappe fatte di accoglienza e di un sentimento universale che è Amore. Siamo pronti ad accompagnare la sacra famiglia nell'ultimo episodio, in direzione Nazaret. Come nella migliore delle sceneggiature, l'uscita da Gerusalemme è l'ennesimo tassello di un puzzle che ci lascia col fiato sospeso: è solo l'inizio di una storia incredibile, ancora tutta da scrivere. 

Gerusalemme è ormai alle nostre spalle. Lasciamo dietro di noi la città santa, lasciamo l'ultimo spavento, la disavventura di aver “perso” Gesù, poi ritrovato nel Tempio. Lasciamo dietro di noi una serie di esperienze che ci hanno reso più forti, che ci hanno permesso di comprendere meglio cosa significhi essere vicini a Dio, o lontani. Maria accompagna suo Figlio verso Nazaret. Lo accompagna verso casa e custodisce nel proprio cuore un oceano di emozioni. La Madonna ha provato lo stupore nell'Annunciazione, il suo spirito ha esultato in Dio in occasione della Visitazione a Elisabetta, ha vissuto la gioia del parto in una stalla a Betlemme, è stata omaggiata da tre viaggiatori che venivano da lontano, è stata fedele alla Legge presentando Gesù al Tempio, così come costretta a emigrare per sfuggire alla violenza del potere, scampando la strage degli innocenti, ha vissuto la paura di aver perso il proprio figlio, tirando un sospiro di sollievo quando l'ha ritrovato intento a occuparsi delle cose del Padre. 

Tutte queste cose, mentre lascia la città santa, Maria le custodisce nel proprio cuore. Nel suo destino c'è Nazaret, dove insieme a Giuseppe farà crescere Gesù. Continuerà a custodire le proprie sensazioni, continuerà a interrogarsi, continuerà a vegliare sul proprio Figlio, quel dono di Dio che lentamente sboccia, per arrivare, infine, a compiere la propria missione.  Lasciamo anche noi Gerusalemme alle nostre spalle. Accompagniamo la sacra famiglia nell'ultimo viaggio – almeno per ora – verso casa. Un cammino di molti chilometri, che possiamo sfruttare per un'ultima riflessione. Li immaginiamo in silenzio, pensierosi ma al tempo stesso, finalmente, sereni. Ascoltiamo il rumore dei passi che si susseguono nell'arida campagna palestinese. Ripensiamo a quanto accaduto, quanto letto e sperimentato per mezzo dei Vangeli e a quanto ammirato grazie al ciclo giottesco dell'Infanzia di Gesù. Viene da chiedersi, al termine di questo viaggio, quale sia l'atteggiamento più bello che possiamo scorgere in Maria. Forse c'è una caratteristica in particolare che possiamo prendere da lei e farla nostra: la capacità di saper attendere. 

Una veglia vigile, attenta, ossequiosa e costante, è quella della Madre di Dio. «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Abbiamo visto Maria accogliere l'annuncio dell'Arcangelo e la gestazione del Figlio. Un'attesa che prosegue anche dopo la nascita di Gesù e consiste nell'accompagnare il bimbo attraverso le esperienze della vita, l'attesa della Rivelazione, perché la natura divina di Gesù si mostra man mano, passo dopo passo. Maria custodisce nel cuore, attende senza pretendere di capire subito tutto ciò che accade, attende anche nei momenti più cupi, tiene duro nelle difficoltà. È sempre là, pronta a riabbracciare il Figlio, a coprirlo col suo mantello, blu intenso come il cielo. Compagna di viaggio, sempre un passo dietro a Gesù, veglia su di lui e, attraverso lui, su tutti noi. L'attesa di Maria è la sua maniera di vegliare per la venuta del Figlio dell'Uomo. 

Vergine Madre, donna che sa attendere, nostra prima e ultima compagna di viaggio. L'attesa è uno stato d'animo per certi versi entusiasmante, che ci dà i brividi. Ci immaginiamo la Vergine, con le sue preoccupazioni e le sue certezze, tra notti avvolte nei pensieri e giorni passati a osservare, accompagnare con gli occhi e col cuore la crescita in sapienza, età e grazia di Gesù. Don Marco Pozza, instancabile divulgatore dei valori più profondi della nostra fede, in una coinvolgente omelia associa l'attesa alla notte: «E dentro la notte c'è un mondo in stato di febbrile e appassionata attesa: il fornaio col suo lievitare il pane, il camionista nella piazzola dell'Autogrill, l'editore nel buio della sua redazione, il monaco nel silenzio claustrale della sua cella, la mamma nell'angosciante attesa di un ritorno. Il popolo di Dio attende per entrare  nella Terra Promessa: Mosè attende un cenno nel mezzo del deserto, Maria attende un cenno nell'attesa del Golgota - "Dimmi, Figlio mio, quanto mi resta d'attenderti" -, i discepoli vivono nell'attesa del Regno. Anche Penelope attende il ritorno di Ulisse, Lucia quello del suo Renzo, Ungaretti attende il ritorno della vita». 

Facciamo nostra la sensazione elettrizzante dell'attesa, che sia occasione di una semina fruttuosa. Custodiamo nel nostro cuore i sentimenti che ci portano a valorizzare l'altro, vedere quanto di meglio c'è in chi ci sta accanto. Dio ha scommesso su di noi, l'ha fatto attraverso suo Figlio che si è sacrificato per tutti. Non abbiamo fretta di capire, impariamo ad attendere, a gustarci giorno per giorno. Impariamo a riappropriarci del nostro tempo. La situazione che vive l'umanità oggi – in particolare noi occidentali – è ben descritta in un libro di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Il titolo è illuminante: Prigionieri del presente. Viviamo la nostra epoca iper-tecnologica senza essere in grado di governare la modernità, abbiamo smarrito la bussola più preziosa, il rapporto col tempo lineare: non esiste più l’eterno, non esiste più l’alto, la prospettiva che sta davanti, ma esiste solo un eterno presente, una forma di nuova schiavitù. 

Seneca, circa duemila anni fa, scriveva uno dei testi più efficaci e completi della storia dell'uomo, il trattato De brevitate vitae: «Solo gli spiriti tranquilli e sereni – aggiungerei sapienti – possono ripercorrere ogni istante della propria vita. Mentre quelli sempre carichi di impegni, come fossero sotto un giogo, non possono voltarsi e guardare indietro. La loro vita, così, si perde negli abissi del tempo [...] Il presente è tanto breve che qualcuno ne nega persino l’esistenza. È sempre in movimento e scorre via veloce. A chi vive di impegni, dunque, appartiene solo il presente. Così breve che non si può afferrare». Il filosofo latino nel suo trattato – che sa tanto di profezia sempreverde – parla di un giogo del tempo presente, parla di vite sconnesse.  Vengono alla mente le parole del grande filosofo Pietro Prini, che ci interrogano sulla ricerca di un senso vero e pieno della vita, che anche stavolta sfocia in un termine che è programma esistenziale: Amore. Nella genuina esperienza cristiana e francescana l’amore si rivela proprio nel fatto che il nobile si abbassa all’ignobile, il sano all’ammalato, il ricco al povero, il bello al brutto, il buono e santo al cattivo e al volgare, il messia ai peccatori. Tutto questo senza l'antica paura, facendo ciò, di perdere e di diventare meno nobile, ma nella più strana convinzione di guadagnare l’eccelso, di divenire simile a Dio, proprio nell’esecuzione di questo “umiliarsi” di questo discendere, di questo perdersi.  Facciamo nostre queste altissime parole. Attendiamo, insieme a Maria, rivolgiamoci a lei, impariamo dalla Madre a onorare la vita, rendendola piena, grazie a un atto tanto semplice quanto rivoluzionario: l'atto d'Amore.  (Dal libro Il Natale di Maria, di padre Enzo Fortunato)

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