La Pasqua di San Francesco
“San Francesco, cantore della Pasqua di Resurrezione”
La Passione per San Francesco passa per le piaghe, per le stimmate, per i segni della sofferenza di Cristo. L’unione, la conformità spirituale e - nel caso di San Francesco - anche della carne, con Gesù Crocifisso, passa per la sofferenza dell’uomo Francesco che vive tutto questo nel silenzio. La Pasqua, invece - al contrario della Passione - passa per il canto, potremmo dire. Infatti, ancora una volta, il poeta Francesco, trova proprio nella Poesia la possibilità, lo strumento più opportuno per esprimere il suo animo, esultante, per la Resurrezione di Cristo.
E San Francesco lo fa attraverso un salmo intero, nel suo Ufficio della Passione: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha fatto cose meravigliose. Questo è il giorno fatto dal Signore: esultiamo in esso e rallegriamoci. Cantate inni al Signore”. Il canto, dunque, ancora una volta compare nella vita di Francesco, come strumento per lodare il Signore: il Signore risorto in questo caso.
E, questo canto di lode, denota - potremmo dire - il “carattere” (se così vogliamo chiamarlo), il senso di cosa voglia dire per Francesco, celebrare la Pasqua. In quel suo scritto dell’Ufficio, potremmo trovare (perchè no?) i riverberi dello stesso Cantico delle Creature: in fondo, il santo di Assisi ci invita a cantare “un canto nuovo”, un vero e proprio “canto” perchè il Signore “ha fatto cose meravigliose”.
Ed è per questo motivo che l’accostamento del salmo pasquale al Cantico delle Creature, potrebbe - alla fine - non essere così provocatorio come potrebbe sembrare. Ci troviamo di fronte sia allo stupore per la Resurrezione, sia a quello davanti al Creato, espressione della magnificenza e della luce del Signore: due segni della potenza e bellezza di Dio. San Francesco d’Assisi in questo sintetico ma bellissimo scritto, ci esorta a “esultare” e “rallegrarci”. In prima analisi, questi due verbi potrebbero sembrare alquanto simili.
Sembrano quasi semplicemente rafforzativi l’uno dell’altro. Eppure sono due verbi forti, importanti, e - in una certa misura - differenti fra loro, che esprimono appieno il sentimento del poverello di Assisi nel vivere questo giorno di Luce che è la Pasqua, “il giorno fatto dal Signore”. Due verbi che nella loro etimologia conservano una forza “esplosiva” (mi sia concesso l’aggettivo) di vita, di una nuova vita degna di un “canto nuovo”. San Francesco, sappiamo bene, è stato sempre molto attento all’uso delle parole: le sceglie con dovizia, e conosce la potenza di queste.
E, allora, è bene - forse - approfondire questi due verbi. Il primo, “esultare”: in questo, come non intravedere un “immaginario” Francesco saltare (è questa l'etimologia del verbo, dal latino exsultare, che si traduce in “fare salti”, “danzare”) di gioia per la notizia della Resurrezione di Cristo? Viene così in mente il famoso salmo 30 che chissà quante volte avrà declamato lo stesso San Francesco: “Hai mutato il mio lamento, in danza.
La tristezza, la sofferenza della Passione di Cristo, diviene poi, grazie al messaggio pasquale, una vera e propria danza di gioia. Il secondo verbo è “rallegrarsi”: la danza, al cospetto del Cristo risorto, diviene danza di gioia, di cui rallegrarsi. E magari farlo proprio nell’annuncio del “Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare, alleluia. Resurrexit sicut dixit, alleluia”.
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