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La tavola con la figura del Santo

Un ritratto in campo d'oro

Sopra alla ditta porta gli è un quadro di una tavola, nella quale gli è un San Francesco dipento in un campo de oro. Dicono esser di naturale, et intorno alla ditta tavola, ovvero figura di San Francesco, gli sonno quattro istorie cioè miraculi, quali sonno di gran memoria, et tutti sonno in campo de oro”. È fra Ludovico da Pietralunga, frate vissuto nel XVI secolo nel convento di Assisi e autore di una minuziosa descrizione della chiesa di San Francesco rimasta manoscritta fino al primo Novecento, il primo a ricordare la preziosa e rarissima tavola del Museo del Tesoro, con un ritratto di san Francesco in campo d’oro circondato da quattro quadretti con episodi miracolosi avvenuti uno nella chiesa di San Giorgio, che fu la prima tomba di Francesco, due presso l’altare della chiesa fondata in suo onore sul “colle del Paradiso”, il quarto avente per protagonista un pellegrino in viaggio verso Assisi.

Evidentemente fra Ludovico svolgeva allora il compito di guidare i visitatori illustri - un po’ come fanno oggi i frati che accompagnano gruppi di pellegrini - che dopo aver pregato sopra la tomba di Francesco chiedevano di poter visitare la chiesa che ne ospitava le spoglie. Ludovico ne descriveva le splendide immagini, ne spiegava le complicate iconografie, rammentava i nomi dei donatori illustri, papi o cardinali che fossero, e soprattutto si dilungava sui nomi e i meriti dei pittori, ne indicava le caratteristiche a secoli di distanza dall’esecuzione dei dipinti: già nel Cinquecento si veniva ad Assisi per amore dell’arte antica, non ci si limitava ad accender candele sulla tomba di un uomo vissuto in concetto di santità. Sta qui l’interesse di questo manoscritto, che non ci restituisce un elenco di reliquie da venerare, ma è la storia del monumento e dell’arte che contiene, a dimostrare come la chiesa di Assisi non fosse sorta soltanto per diventare una tomba, ma anche lo specchio - “caput et mater” - di una famiglia religiosa e la grande vetrina delle vanità dei potenti della terra: lo è ancor oggi.

La tavola con la figura del santo era posta allora “sopra alla ditta porta” che dalla cappella di San Giovanni Battista conduceva alla sacrestia inferiore. “Il ditto San Francesco gli è in piedi  con la croce nella dextra et nella sinistra tiene un libro aperto dove che vi sonno scritte che dicano cusì: si vis perfectus esse, vade et vende omnia que habes, et da pauperibus”. La scritta riprendeva pari pari un passo del Vangelo di Matteo che riferiva la risposta di Gesù a un giovane ricco che chiedeva come guadagnare la vita eterna: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi”. Il giovane del racconto evangelico non ebbe il coraggio di seguire l’invito perché possedeva molti beni. Francesco fece proprio quell’insegnamento: rinunciare ai beni paterni, vivere in castità, obbedienza e senza nulla di proprio. Era il messaggio che l’immagine rilanciava ai pellegrini che si accostavano alla tomba di Francesco: i malati sono sanati, gli indemoniati sono liberati, i morti sono resuscitati, però se vuoi guadagnare la vita eterna devi rinunciare a tutto, dona i tuoi beni ai poveri e guadagnerai un tesoro in paradiso. Nel brogliaccio di appunti presi da fra Ludovico troviamo altro: “La ditta tavola over quadro, dicano che San Francesco vi fu lavato poi la morte, et poi fu penta”. L’immagine aveva una duplice, anzi una triplice funzione. Non era solo la vera icona del santo che rammentava il suo mandato ai frati: vivere in castità, obbedienza e senza nulla di proprio. Non era solo la promessa di guarigioni miracolose rivolta ai pellegrini che si accostavano fidenti alla tomba sotto l’altare.

Si trattava anche di una reliquia, di un oggetto capace di compiere miracoli perché si voleva che sopra questo legno fosse stato lavato il corpo di Francesco una volta morto, come si faceva allora, come si fa ancor oggi nell’apprestare la salma di un defunto per la sepoltura. Se la tradizione era veritiera, fu quando il corpo oramai morto di Francesco fu sdraiato sopra questa tavola che furono scoperte le stimmate ricevute da Francesco alla misteriosa visione di un serafino “nel crudo sasso intra Tevero e Arno”; anche se in verità altrettanto si diceva per una tavola duecentesca ritraente l’immagine di Francesco conservata nel museo della Porziuncola. Ma il messaggio importante era la “sequela Christi”: prendere la croce di Cristo, la croce purpurea che il santo tiene in mano, e rinunciare a mammona, essere come i gigli nei campi e gli uccelli dell’aria, la verità che ti rende libero. Poi, per non rimanere astratto, un messaggio deve avere una sua concretezza, un terreno su cui fondarsi, e l’anonimo pittore - c’è chi lo ha riconosciuto in Giunta Pisano, chi ha parlato di un pittore umbro, chi ha coinvolto la “maniera greca” diffusa dal via vai di pittori che raggiunsero i regni crociati d’Oltremare, soprattutto dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204 - rappresentò realisticamente la cassa lignea che conteneva il corpo di Francesco nella chiesa di San Giorgio, benché San Giorgio non abbia l’aspetto di un edificio reale: oppure l’aspetto realistico dell’altare di San Francesco nel miracolo dell’indemoniata, con gli archetti ornati da lampade che sostengono la mensa, del tutto  identici agli archetti presenti nell’altare in chiesa. (Rivista San Francesco - clicca qui per scoprire come abbonarti)

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