Le speranze di un Papa sulle orme di Francesco - Le 4 questioni poste da Hans Kung Repubblica
Perché finora nessun papa ha osato scegliere il nome Francesco? - Cosa significa oggi per un papa adottare coraggiosamente il nome Francesco? - Una riforma della Chiesa non incontrerà una seria resistenza? - Che fare se ci viene tolta dall’alto la spe
Chi l'avrebbe detto? Quando, tempo fa, decisi di rinunciare alle mie cariche onorifiche al compimento del mio
ottantacinquesimo anno, ero convinto che il sogno da me coltivato per decenni, cioè di assistere di nuovo
nella mia vita ad una svolta nella nostra Chiesa, come ai tempi di Giovanni XXIII, non si sarebbe più
realizzato. E invece guarda un po': Joseph Ratzinger, che ha condiviso con me per qualche anno un tratto
della sua vita - abbiamo entrambi 85 anni - improvvisamente ha abbandonato prima ancora di me la sua
carica papale e proprio il 19 marzo, giorno del suo onomastico e del mio compleanno, gli è subentrato un
nuovo papa, con il sorprendente nome di Francesco.
Jorge Mario Bergoglio si sarà chiesto perché finora
nessun papa ha osato scegliere il nome Francesco? Comunque, l'argentino era ben consapevole di
ricollegarsi, con questo nome, a Francesco di Assisi, il santo del XIII secolo celebre per la sua scelta di
mollare tutto, il figlio mondano e gaudente di un ricco mercante di tessuti di Assisi, che a 24 anni rinuncia alla
famiglia, alla ricchezza e alla carriera restituendo al padre i suoi lussuosi vestiti.
È
sorprendente come papa
Francesco abbia scelto fin dal
primo momento della sua entrata in carica uno stile nuovo:
a differenza dal suo predecessore, niente mitra trapunta d’oro e gemme, niente mozzetta purpurea orlata di
ermellino, niente scarpe e copricapo
rossi appositamente confezionati,
niente trono e tiara. Sorprendente anche che il nuovo papa abbia di proposito rinunciato ai gesti solenni e alla retorica pretenziosa e parli la lingua della
gente, come la possono praticare anche
i predicatori laici, oggi come allora vietati dai papi. Sorprendente, infine, come il nuovo papa sottolineiil suo essere
uomo tra gli uomini: chiede la preghiera della gente prima di impartire la sua
benedizione; paga come chiunque altro
il conto dell’albergo; realizza la collegialità con i cardinali in autobus, nella residenza comune, nel congedo ufficiale,
lava i piedi a giovani carcerati, anche a
donne, perfino a un musulmano. Un papa che si presenta come una persona alla mano.
Tutto ciò avrebbe rallegrato Francesco di Assisi ed è il contrario di ciò che al
suo tempo rappresentava papa Innocenzo III (1198-1216). Nel 1209 Francesco si era recato da lui a Roma con undici “frati minori” (“fratres minores”), per
presentargli la sua breve regola, costituita esclusivamente da citazioni della
Bibbia, e ottenere l’approvazione papale per la sua scelta di vivere in povertà e
nella predicazione laicale, «in conformità al santo Vangelo». Innocenzo III,
conte di Segni, eletto papa a soli 37 anni,
era nato per comandare: erudito teologo, sottile giurista, oratore di talento,
amministratore capace e diplomatico
raffinato. Nessun suo predecessore o
successore ebbe mai più potere di lui.
Con lui, la rivoluzione dall’alto introdotta da Gregorio VII nell’XI secolo (la
“riforma gregoriana”) aveva raggiunto il
suo obiettivo. Al titolo di “vicario di Pietro” preferì il titolo, impiegato fino al XII
secolo per ogni vescovo o sacerdote, di
“vicario di Cristo” (Innocenzo IV lo
avrebbe cambiato addirittura in “vicario di Dio”). Da allora, diversamente da
quanto era avvenuto nel primo millennio e pur senza mai essere riconosciuto
dalle chiese apostoliche orientali, il papa si è considerato un sovrano, legislatore e giudice assoluto della cristianità –
fino ad oggi.
Tuttavia, il trionfale pontificato di Innocenzo III fu non soltanto un apogeo,
ma anche un punto di svolta. Già sotto di
lui si manifestarono i segni di declino
che in parte sono rimasti fino ai nostri
giorni tratti caratteristici del sistema romano-curiale: nepotismo e favoreggiamento dei parenti, avidità, corruzione e
affari finanziari dubbi. Fu però proprio
Innocenzo III a cercare di integrare nella Chiesa i movimenti pauperisti evangelico-apostolici, nonostante la sua politica di eliminazione degli “eretici” più
ostinati (i catari). Anche Innocenzo era
consapevole di quanto fossero necessarie e urgenti quelle riforme della Chiesa
per le quali alla fine convocò lo sfarzoso
Concilio Lateranense IV. Perciò dopo
lunghe raccomandazioni rilasciò a
Francesco di Assisi il consenso alla predicazione quaresimale. Sull’ideale di
assoluta povertà prescritto dalla regola
egli si riservava di interpellare in preghiera la volontà di Dio. Si racconta che
il pontefice alla fine approvò la regola di
Francesco di Assisi in seguito a un sogno
nel quale aveva visto un modesto fraticello salvare dal crollo la basilica papale
del Laterano. Egli la rese nota al concistoro dei cardinali, ma non fissò nulla
per iscritto.
In effetti, Francesco di Assisi rappresentò e rappresenta l’alternativa al sistema romano. Cosa sarebbe accaduto
se già Innocenzo e i suoi avessero di nuovo preso sul serio il Vangelo? Le sue esortazioni in esso contenute, anche se intese non alla lettera, ma nel loro contenuto spirituale, significavano e significano
una profonda messa in questione del sistema romano,
di quella struttura di potere
centralistica, giuridicizzata,
politicizzata e clericalizzata,
che a partire dall’XI secolo si
è impossessata a Roma della
causa di Cristo.
Si pone allora la seconda
domanda: Cosa significa oggi per un papa adottare coraggiosamente il nome Francesco? Alla luce delle
istanze e dei princìpi di Francesco di Assisi oggi si possono formulare opzioni di
fondo anche per una Chiesa cattolica la
cui facciata risplende in occasione delle
grandi manifestazioni romane, ma la
cui struttura interna nella vita quotidiana delle comunità di molti Paesi si rivela ormai fragile e fatiscente, sicché molte persone se ne allontanano interiormente e spesso anche esteriormente.
Tuttavia, nessun individuo razionale
può attendersi che tutte le riforme vengano realizzate da un solo uomo dall’oggi al domani. Nondimeno, un mutamento di paradigma sarebbe possibile in cinque anni, come dimostrò
nell’XI secolo il papa lorenese Leone
IX (1049-1054), che aveva preparato
la riforma di Gregorio VII, e come
avrebbe poi dimostrato nel XX secolo l’italiano Giovanni XXIII
(1958-1963), convocando il Concilio Vaticano II. Oggi, soprattutto, dovrebbe essere chiara la direzione: non una involuzione restaurativa verso i tempi preconciliari come sotto il papa polacco e sotto quello tedesco, ma passaggi meditati,
pianificati e ben mediati di una riforma
in linea con il Concilio Vaticano II.
Oggi come allora si pone una terza
questione: Una riforma della Chiesa
non incontrerà una seria resistenza?Indubbiamente essa susciterà, soprattutto nell’apparato di potere
della curia romana, potenti
controforze alle quali sarà
necessario far fronte. I potenti del Vaticano non rinunceranno spontaneamente a un potere accumulato fin dal Medioevo.
Gloria a Francesco: il 3 ottobre 1226 egli muore povero come aveva vissuto, a soli 44 anni. Papa Innocenzo
III era morto, in modo del
tutto inaspettato, già dieci anni prima,
un anno dopo il Concilio Lateranense
IV, all’età di 56 anni. Il 16 giugno 1216 il
cadavere di colui che aveva saputo accrescere, come nessun altro prima, il
potere, il dominio e la ricchezza della
Santa Sede, fu trovato nella cattedrale
di Perugia, abbandonato da tutti,
completamente nudo e derubato dai
suoi stessi servitori. Un segnale del rovesciamento della sovranità universale del papa nell’impotenza del papa:
all’inizio del XIII secolo il glorioso
pontificato di Innocenzo III; alla fine
di quello stesso secolo il megalomane
Bonifacio VIII (1294-1303),
miseramente fatto prigioniero, al quale sarebbero
seguiti l’esilio di Avignone, durato circa settant’anni, e lo scisma
d’Occidente, con due e
alla fine tre papi.
Nemmeno due decenni dopo la morte di
Francesco il movimento
francescano rapidamente
diffusosi in Italia sembra
quasi completamente addomesticato dalla Chiesa romana,
tanto da porsi ben presto al servizio della politica papale, come un normale ordine monastico, e da farsi addirittura
coinvolgere nell’Inquisizione.
Se dunque è stato possibile
addomesticare Francesco di
Assisi e i suoi compagni nel sistema romano, ovviamente
non si può escludere che alla
fine un papa Francesco venga catturato nel sistema romano che dovrebbe riformare. Papa Francesco: un
paradosso? Potranno mai
conciliarsi il papa e Francesco, un contrasto evidente?
Solo con un papa delle riforme ispirato dal Vangelo.
Non dobbiamo rinunciare
tropo presto alla nostra speranza in un simile pastor angelicus!
Infine, una quarta questione: Che fare se ci viene
tolta dall’alto la speranza
nella riforma? I tempi in cui
il papa e i vescovi potevano
contare tranquillamente
sull’ubbidienza dei fedeli
sono comunque passati.
Dunque, non possiamo in
alcun modo cedere alla rassegnazione, ma di fronte alla mancanza di impulsi
riformatori “dall’alto”, dalla
gerarchia, dobbiamo intraprendere decisamente le
riforme “dal basso”, a partire dalla gente. Se papa Francesco metterà mano alle
riforme troverà un vasto
consenso da parte della gente, ben al di là della Chiesa
cattolica. Se però alla fine
andasse avanti così e non
sciogliesse il nodo delle
riforme, il grido «Indignatevi! Indignez-vous!» risuonerebbe sempre più anche
nella Chiesa cattolica e provocherebbe
riforme dal basso che sarebbero realizzate anche senza l’approvazione da parte della gerarchia e spesso addirittura
contro i tentativi di impedirle compiuti
dalla gerarchia. Nel caso peggiore – l’ho
scritto già prima dell’elezione di questo
papa – la Chiesa cattolica vivrebbe, anziché una primavera, una nuova era glaciale e correrebbe il pericolo di ridursi ad
una grande setta poco rilevante.
di Hans Kung - Repubblica
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