Le 'trasmissioni' di Santa Chiara
Santa Chiara d’Assisi, patrona della televisione
Notte di Natale 1948, Parigi, cattedrale di Notre-Dame. Le telecamere - per la prima volta nella storia - entrano in una chiesa per trasmettere in diretta televisiva la Santa Veglia di Natale. Celebrava, allora, il vescovo di Parigi, Emmanuel Suhard. Contemporaneamente, dall’altra parte dell’Oceano, nella città di New York, sui telescreens americani scorrevano le immagini della messa - celebrata dal cardinal J. A. Spellman - dalla cattedrale di St. Patrick. In Italia l’inizio ufficiale della televisione reca la data del 3 gennaio 1954. Ma già ben due anni prima, durante la fase sperimentale delle trasmissioni televisive, la Rai aveva mandato in onda la sua “prima messa”, sempre in occasione del Natale: lo “scenario”, la piccola chiesetta di San Gottardo in Corte, in provincia di Milano. Ma, ora, facciamo un salto nel tempo, alla “recherche du temps perdue”. Notte di Natale del 1252, Assisi. La comunità delle clarisse del convento fondato da Chiara d’Assisi si riunisce nella cappella per la celebrazione, ma la loro fondatrice non può parteciparvi. È ormai malata, Chiara, e rimane nella sua cella, a letto. È triste per non poter stare vicino alla sua comunità in quel giorno, e così si mette a pregare il Bambino Gesù: vuole condividere con lui il suo dolore per l’assenza a tale importante celebrazione. Ma avviene qualcosa di straordinario: quando le altre religiose tornano dalla loro fondatrice, Chiara racconta loro - in maniera dettagliata - tutto ciò che è successo durante la Santa Veglia nella cappella. Com’è possibile? Di fronte allo stupore delle religiose, Santa Chiara spiegò che Dio le aveva concesso la grazia di vedere proiettate sulle pareti della sua cella le scene della cerimonia. Era la prima trasmissione televisiva di una messa. Certo, un po’ particolare, non è possibile negarlo.
Questo racconto ci viene fornito dalla “Legenda Sanctae Clarae Virginis” di Tommaso da Celano, e dalle testimonianze delle suore al processo di canonizzazione del novembre del 1253. Chiara d’Assisi era morta pochi mesi prima, l’11 agosto. Suor Filippa di Sassorosso, una delle prime compagne, depose questa testimonianza: “Narrava anchora la predicta madonna Chiara come ne la nocte de la Natività del Signore proximamente passata, non potendo epsa per la grave infirmità levarse dal lecto per intrare nella cappella, le sore andarono tucte al Matutino al modo usato, lassando lei sola. Allora, epsa madonna suspirando disse: ‘O Signore Dio, eccho che so’ lassata sola ad te in questo loco’. Allora subitamente incominciò ad udire li organi et responsorii et tucto lo offitio delli Frati della chiesa de sancto Francesco, come si fusse stata lì presente”.
Fu proprio questo straordinario episodio a spingere il pontefice Pio XII a dichiarare “patrona della televisione” la santa di Assisi. Era il 1954, e questo nuovo mezzo di comunicazione cominciava ormai a prendere piede in Italia, nel Mondo. Era quella l’epoca in cui il popolo dello Stivale si allietava con “Canzonissima” di Falqui, dopo aver magari studiato la lingua italiana assieme al professor Medi, protagonista di “Telescuola”, trasmissione antelitteram del più famoso “Non è mai troppo tardi” del 1960, con protagonista il volto bonario del professor Manzi. Si rideva per le battute dell’accoppiata - più che vincente - Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi di “Varietà”. Questa scatola di legno, colma di immagini in movimento e di suoni, nuova “lanterna magica” del XX secolo, era divenuta l'oggetto cult per ogni casa: la tv era seguita da oltre venti milioni di persone, tra case private (circa un milione di apparecchi) e locali pubblici. Il progresso avanzava e Pio XII lo aveva capito bene: registrò, infatti, fin da subito l’importanza e bellezza del nuovo mezzo, ma anche le possibili ripercussioni negative sulla società, se indirizzato male. Nella sua Breve “Clarius explendescit” (1958), il documento che rese Chiara “patrona della televisione”, si legge: “La Chiesa, per nulla contraria al progredire della cultura e della tecnica, non solo è favorevole a tali nuovi sussidi della scienza o della vita quotidiana, purché siano indirizzati al bene, ma anche si serve di essi volentieri per insegnare la verità ed estendere i confini della religione”. E l’inizio di una nuova epoca per la Chiesa, sempre più attenta alla comunicazione, “Presieda, quindi, a questa arte Chiara, fulgente per la sua integrità e sorgente di luce in così fitte tenebre, affinché attraverso questo mezzo così traslucido si manifestino anche la verità e la virtù, su cui è necessario si fondi l'ordine civile. (...) Perciò costituiamo e dichiariamo Santa Chiara celeste Patrona presso Dio, della televisione”. Così, si conclude la “Breve” di Pio XII. Lascia un monito questo documento, che travalica il tempo in cui è stato redatto: uno strumento che manifesti “la verità e la virtù”. Non sempre è stato seguito, per via di alcune logiche (non logiche) del cosiddetto “mercato”: la via dello share è quella più semplice, ma - molto spesso - non certo di qualità. La velocità ha preso il posto dell’approfondimento, e ce ne siamo accorti ancor di più proprio nei giorni scorsi: la morte di Sergio Zavoli ci ha offerto la possibilità di riandare ad osservare un certo modo di fare televisione che, forse, avevamo dimenticato. Papa Francesco, nel suo ultimo Messaggio per la LIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2020) ha precisato: “Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamentepersuasivi, colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità”. Chiara d’Assisi aveva a cuore la dignità di ogni uomo, specchio dell’immagine di Dio, e nato il “piccolo schermo”, è stata scelta come Patrona presso Dio, della televisione. Ciò potrebbe far riflettere. E non poco.
Antonio Tarallo
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