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Mons. Accrocca: Frate Francesco e frate Elia, un rapporto di fiducia

Francesco aveva già in qualche modo, optato per il futuro: dal momento che si era di fronte a una crisi istituzionale, si fece accompagnare da due frati che avrebbero potuto dare, in quel frangente, un contributo significativo

Credits Ansa

Se bisogna dar credito a una notizia che gode comunque di un credito generale – e non c’è ragione sufficiente, a mio avviso, per metterla in dubbio – durante la permanenza di Francesco nelle terre d’oltremare, i due vicari che erano rimasti alla guida della religio minoritica, Matteo da Narni e Gregorio da Napoli, introdussero novità nelle consuetudini alimentari dei frati. “Un frate laico”, assicura il cronista Giordano da Giano, indignato per quelle decisioni, “senza l’autorizzazione dei vicari attraversò il mare” per rendere Francesco edotto sui fatti (Giordano 12: FF 2334). Questi comprese la gravità della situazione e, presi con sé frate Elia, frate Pietro Cattani, frate Cesario da Spira e altri frati, se ne tornò in Italia (Giordano 14: FF 2337).

Si era, in definitiva, di fronte a una crisi istituzionale, che richiedeva – per essere adeguatamente fronteggiata – una certa fermezza e capacità di governo; decidendo di riportare con sé Pietro Cattani ed Elia, che nelle terre d’oltremare aveva propiziato il passaggio di Cesario da Spira tra i Frati Minori (Giordano 9), Francesco aveva già in qualche modo, optato per il futuro: dal momento che si era di fronte a una crisi istituzionale, si fece accompagnare da due frati che avrebbero potuto dare, in quel frangente, un contributo significativo (e saranno proprio loro a guidare la famiglia religiosa dopo la rinuncia di Francesco).

Fin qui Giordano da Giano, il cui racconto, come s’è detto, viene nella sostanza da tutti generalmente accolto. La narrazione documenta la fiducia riposta da Francesco nei riguardi di Elia, confermata peraltro da quanto emerge dagli stessi scritti dell’Assisiate. È un dato di fatto, in effetti, che Francesco riconosca in Elia il ministro generale di tutta la fraternità, come attesta indubitabilmente l’Epistola toti Ordini missa, scritta nei suoi ultimi anni di vita, e – indirettamente – il Testamentum.

Quanto poi alla questione se durante la vita di Francesco ad Elia possa attribuirsi la qualifica di ministro generale o soltanto di vicario, essa è mal posta, poiché altro è dire cosa intendesse Francesco e i testimoni diretti quale poterono essere i suoi compagni, altro è quanto si sforzarono di meglio definire gli agiografi: non solo Francesco, infatti, ma gli stessi Compagni del Santo, nel 1246, attribuirono tanto a Pietro Cattani quanto a frate Elia la qualifica di ministro generale, come attesta – in maniera indubitabile – la Compilatio Assisiensis, la quale in una sola pericope, redatta però da frate Leone in un periodo più tardo, qualifica Elia come “vicarius beati Francisci”, per parlare invece sempre di «ministro generale», tanto che si tratti di Pietro Cattani quanto di frate Elia.

Diversamente, gli agiografi ufficiali, tanto Tommaso da Celano (nel Memoriale, soprattutto, ma anche nel cosiddetto Tractatus de miraculis) quanto Bonaventura, qualificano i due frati sempre con il titolo di “vicari”, mentre lo Speculum perfectionis, pur attingendo allo stesso dossier che ha dato vita alla Compilatio Assisiensis, risente di una certa oscillazione, attribuendo ai due frati la qualifica di “ministro generale”, ma in qualche caso anche quella di “vicario”: tra il 1246 e i primi decenni del Trecento, quando il cosiddetto “Anonimo della Porziuncola” – redattore appunto dello Speculum perfectionis status fratris minoris –, rielaborando gli stessi materiali che nella Compilatio Assisiensis erano stati copiati in una forma molto più vicina all’originale, dette vita alla propria opera, le opere agiografiche ufficiali, che sempre qualificavano Pietro Cattani ed Elia con il titolo di vicari di Francesco, avevano plasmato anche la terminologia comune, ciò che finisce anche per produrre i suoi effetti sul redattore dello Speculum.

In definitiva, Francesco concesse a Pietro Cattani ed Elia la gestione del governo: così intesero la cosa anche i frati di Valenciennes, i quali, dimoranti in un primo momento “extra villam”, nel 1225 chiesero a Elia, non a Francesco, di potersi trasferire “ad locum ydoneum, […] infra ambitum murorum ville”. La gestione ordinaria del governo fu dunque nelle mani di coloro che Francesco aveva chiamato alla guida della famiglia religiosa; è altrettanto vero però, e qui tocchiamo un nervo scoperto, che Francesco non delegò mai a nessuno la guida dell’indirizzo dell’Ordine, che tenne a mantenere nelle sue mani fino alla fine, come mostrano chiaramente le inequivocabili espressioni del Testamentum (e della Regula).

D’altronde Tommaso da Celano – in una testimonianza poi ripresa dalla Compilatio Assisiensis e dallo Speculum perfectionis – narra che una volta Francesco, “mentre era molto ammalato, nella veemenza dello spirito, si drizzò sul lettuccio: Chi sono – esclamò – questi che mi hanno strappato dalle mani la religione mia e dei frati? Se verrò al Capitolo generale, mostrerò loro qual è la mia volontà”. Saranno gli agiografi successivi a ridimensionare nel loro ruolo Pietro Cattani ed Elia, assegnando ad essi il titolo di “vicario”, che risultava forse più aderente alla realtà dei fatti.

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