Padre Dalla Gassa, il frate 'ortolano' del Getsemani
La storia del francescano che cura l'orto dove avvenne l'arresto e l'agonia di Gesù
Gerusalemme Il piccolo portone dove si bussa per accedere all’eremo del Getsemani, gestito dai frati minori della Custodia di Terra Santa, in realtà è un grande portone della storia. Lo scampolo di terra rocciosa, dove solo le piante di ulivo sembrano sfidare la potenza delle antiche mura del Tempio di Gerusalemme, è un salto nel tempo e memoria. Lo sa bene Diego Dalla Gassa, frate minore francescano di 46 anni, nativo di Chiampo ( Vicenza), che ha dismesso la divisa da paracadutista per indossare il saio, da dieci anni responsabile del romitorio in uno dei luoghi più cari alla cristianità: il Getsemani nel Monte degli Ulivi.
Appena varcata la soglia del “sacro giardino”, il silenzio dell’eremo è identico a quello che si respira all’esterno: «Mai Gerusalemme è stata così silente come in questi giorni» afferma il frate. Quanto basta a rendere ancor più mistica l’atmosfera tra le mura di quello che è il convento di cinque frati, con accluse alcune piccole casupole da due tre stanze, trasformate in cenobitico individuale: «Uno spazio dove ritrovare il silenzio che ti parla dentro, non molto diverso da quello di duemila anni fa, che noi frati siamo chiamati qui a custodire e offrire » aggiunge fra’ Diego. Custode quindi del giardino di Gesù? «No, più modestamente sono il responsabile dei dodici eremi disseminati nell’orto, un tempo stalle, oggi spazi di ritiro, voluti più di 35 anni dal padre Giorgio Colombini. Fu lui ad avere l’intuizione di ricavare degli spazi che sembrano un comando di Gesù stesso: “State qui con me, e pregate…”, come sta scritto nel Vangelo». Sentinelle di questo spazio, sono ancora loro: gli ulivi della Passione. Quelli che fra’ Diego pota e ne raccoglie i frutti: «Nel romitaggio coltiviamo 226 ulivi. Se qui è cresciuta la mia fede – confessa fra’ Diego –, è maturata anche la dedizione alla coltivazione di queste millenarie e speciali piante.
Analisi paleobotaniche, continuano a confermare che molte di queste piante, si sviluppano da ceppaie già presenti duemila anni fa. Ulivi secolari che hanno radici profonde anche 1,80 metri che sfidano la roccia». «L’età precisa – continua il frate ortolano – è difficile da stabilire con certezza. Diciamo che sono molto antichi, e dato che sono tutte “piante femmine”, prediligono non sia svelata del tutto la loro reale età…» ironizza il frate che nel tempo della raccolta, coordina l’intera filiera per la produzione dell’olio più “santo del mondo”. Non senza qualche curiosità: «Le olive vengono snocciolate e i piccoli semi dati a delle famiglie cristiano- palestinesi per essere utilizzati nella preparazione di speciali Rosari. Una parte dell’olio poi, viene consegnata alla chiesa locale che lo utilizza per tutto in Israele e Palestina nei riti religiosi. Una piccola parte di olio poi, resta alla comunità dei frati e serve per i pellegrini che ne fanno richiesta o inviata nelle varie parti del mondo che ce lo richiedono». L’esperienza che lascia sempre senza parole «è quando sul far della sera la luce di Gerusalemme si tinge di un caldo colore, e mi trovo a camminare solo tra gli ulivi, lungo i terrazzamenti. È in questo momento che ho la netta sensazione di sentire questi vecchie creature chiomate, intonare: “Osanna al figlio di David”».
Un’immagine che non si fatica a realizzare risalendo la collina, avvolti dalle fronde degli ulivi: «Qui il silenzio è vivo e parla nel profondo, con suggestioni spesso difficili da spiegare. Se questo silenzio è stato visitato da Dio, è un silenzio pregno di Lui. Dove Lui stesso agisce. Se la sua stessa Parola non fosse viva, oggi questo sarebbe un luogo arido. Mentre invece è uno spazio dove l’Eterno continua a incontrare noi uomini!». Sullo sfondo una Gerusalemme muta. Un silenzio storico anche riecheggia anche dentro le grandi basiliche: «Viviamo l’aridità della non presenza dei pellegrini – aggiunge frate Diego –, ma questa assenza stavolta non è causata da una delle tante guerre nell’area. Oggi si combatte un nemico invisibile, anche qui. Percepiamo altresì, l’unione spirituale con tutte quelle persone sparse nel mondo, che si uniscono a noi in queste ore di Passione».
Rocce, radici, e ricordi qui sono un tutt’uno. Uno spazio quello del Getsemani, visto anche come “centro del mondo”, con caratteristiche architettoniche mirabili che nei secoli non hanno deturpato l’aspetto naturale del luogo: «Allude alla Basilica dell’Agonia, pensata un secolo fa dall’architetto Antonio Barluzzi? Fu una trovata geniale per il simbolismo che vi racchiuso dentro, che si armonizza con il paesaggio circostante, dove i simboli fanno vibrare le coscienze, tanto da essere considerata la Basilica più suggestiva della Giudea e forse dell’intera Terra Santa. Sono qui da nove anni, e si potrebbe pensare che il tempo mi porti all’assuefazione verso il luogo o le persone. Il Getsemani, è uno spaccato di storia, come un terreno spirituale che continua a offrire straordinari frutti. Una finestra aperta sul cielo e sul mondo» conclude il frate spalancando le braccia, come sembrano fare questi ulivi con le loro chiome.
Commenti dei lettori
NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO
Lascia tu il primo commento
Lascia il tuo commento
la cripta
di San Francesco
Rivista
San Francesco