San Francesco e i doni profetici
Un percorso di letture intorno alla figura del frate, al di là delle leggende.
La «questione francescana» ha ormai riempito biblioteche e l’interesse straordinario dei Mendicanti spinge la ricerca in mille direzioni diverse: dalle fonti sulla vita del fondatore un vero giallo al suo ruolo centrale nel mutare il cristianesimo medievale, dall’espansione dell’Ordine alle continue scissioni interne, alle riforme, alle persecuzioni dei suoi rami ritenuti ereticali; senza tacere il ruolo dei francescani, dal Duecento a oggi, in Terrasanta con la Custodia, e molto oltre, nell’Oriente asiatico dove si sono recati per secoli in qualità di missionari. Tutto parte dalle fonti: «una questione sempre da chiarire», come Pietro Messa intitola il primo capitolo del suo Francesco profeta. La costruzione di un carisma (Viella, pp. 224, euro 25), poiché oltre agli scritti dello stesso Francesco ci sono le agiografie a partire da quella di Tommaso da Celano, anche se per molti secoli il racconto pressoché unico per precisa volontà dell’Ordine di trasmettere una certa visione del fondatore è stato quello fornito da Bonaventura di Bagnoregio nella Legenda Maior. Il testo della Vita beati Francisci di Tommaso da Celano è stato conosciuto soprattutto dopo la sua riedizione da parte dei Bollandisti, negli Acta Sanctorum, nel corso del XVII secolo.
IL NUCLEO FORTE e nuovo del libro sta nel discutere il Francesco «profeta», un titolo che raramente gli viene attribuito dalla storiografia. «Una lettura profetica di questo personaggio e della sua azione nel mondo è tuttavia legittima – chiarisce André Vauchez nella prefazione – nella misura in cui Francesco stesso nel suo Testamento ha più volte sottolineato di aver beneficiato di ’rivelazioni’ da parte di Dio, tramite le quali quest’ultimo gli aveva fatto comprendere il senso della sua missione indicandogli il modo di vivere il Vangelo nel mondo. In quanto depositario di una rivelazione da Dio fatta alla sua persona, Francesco è dunque un profeta. Ma Messa ha ragione di segnalare che tranne queste brevi notazioni nel Testamento, egli non si è mai presentato come un profeta e mai ha rivendicato in alcun modo un’autorità connessa a questo statuto privilegiato nella Chiesa. Quanto ai suoi biografi, da Tommaso da Celano a Bonaventura, essi si sono accontentati di parlare dei suoi doni profetici a proposito della sua vita personale o di avvenimenti episodici, senza attribuire ad essi un’importanza particolare». DOPO LA MORTE del fondatore, però, il profetismo di Francesco venne discusso all’interno dell’Ordine spesso in chiave polemica, per dimostrare il tradimento di una parte dei frati, quelli che siamo soliti chiamare «conventuali», nei confronti dello spirito originario del messaggio affidato alla Regola, attribuendo all’Assisate profezie circa la decadenza dell’Ordine.
LA COMPLESSITÀ delle fonti su Francesco permette anche di dar vita a un romanzo nel quale ci si chiede se le tante censure operate dall’ufficialità dell’Ordine non abbiano nascosto alcuni particolari importanti della sua vita. Lo ha scritto Massimiliano Felli e si intitola Vite apocrife di Francesco d’Assisi (pp. 386, Fazi, euro 17). Lo spunto è questo: durante il Capitolo di Parigi del 1266 si decide che tutte le testimonianze sulla vita di Francesco devono essere eliminate, lasciando soltanto la Legenda maior di frate Bonaventura; tuttavia, qualcosa va storto: l’amanuense Deodato non ci sta, nasconde qualche copia dei testi proibiti e comincia un viaggio che lo conduce presso frate Leone, primo compagno di Francesco, che ormai vecchio, è rimasto in Umbria; i confratelli lo credono folle, ma la sua è una follia lucida e carica di memorie. Da questo incontro nasce un’altra storia possibile di Francesco e del suo movimento, romanzata con mano sicura da Felli, che conosce le fonti, ma comunque se non vera, almeno verosimile. Una questione che ha fatto dibattere la storiografia è quella della visita di Francesco presso il sultano Malek-al-Kamil nel 1219 durante una spedizione crociata, quando gli eserciti cristiani erano acquartierati a Damietta. Anche qui le fonti sono centrali, perché mancano i testimoni diretti dell’incontro (sebbene Louis Massignon interpretasse una fonte araba da lui trovata in tal senso, anche se questa non identifica Francesco con il suo nome), ma anche perché la questione ha aperto un dibattito spesso ideologico sulla natura della visita, immaginando un Francesco che propone il dialogo al posto del conflitto armato con l’Islam.
RIMETTE IL DISCORSO nei binari filologicamente e interpretativamente corretti Antonio Musarra in Francesco, i Minori e la Terrasanta (La Vela, pp. 384, euro 20). In realtà, il libro prende le mosse dalla questione della visita, nonché da un possibile transito di Francesco per la Terrasanta e Gerusalemme: «dopo aver visto «il male e il peccato che cominciavano a crescere tra la gente dell’esercito se ne andò via e si fermò a lungo in Siria», come scrive una delle continuazioni della cronaca di Guglielmo di Tiro; ma si spinge ben oltre a ricostruire la presenza dei Minori in Terrasanta, dai primi passi fino alla fondazione della Custodia, passando per l’interpretazione del loro ruolo di missionari così come venne discusso all’interno dell’Ordine dai suoi intellettuali, Raimondo Lullo in testa. Insomma, mentre in Europa si dibatteva sull’eredità di Francesco e sulla sua interpretazione all’interno dell’Ordine, si produceva una memoria, anch’essa oggetto di polemica, della sua presenza nel Vicino oriente e del suo significato per il francescanesimo e la cristianità tutta: è la complessità della vicenda e degli infiniti sviluppi ai quali ha dato vita a spiegare perché scriverne oggi è ancora rilevante.
(Il Manifesto)
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