San Francesco e il Sacro Cuore di Gesù
Un viaggio negli scritti del santo
Quarantaquattro volte, negli scritti di San Francesco, compare questa parola così semplice e - al contempo - così misteriosa, se vogliamo: “cuore”. Nel nostro linguaggio - il più delle volte - siamo portati a fare una grande differenza tra “mente” e “cuore”. Nella lingua ebraica - che troviamo nella Bibbia - non è proprio la stessa cosa: il termine “lev”, presente ben 814 volte nella Sacra Scrittura, può essere tradotto sia come “cuore”, sia come “ragione”. Nella vita di San Francesco d’Assisi i due termini si sono fusi: la sua intelligenza, infatti, è stata sempre al servizio del cuore. Oggi, la Chiesa festeggia il cuore più sacro di tutti: il Sacro Cuore di Gesù. Spero non dispiaccia il “gioco di parole”, ma necessario.
La Solennità del Sacro Cuore di Gesù - così come la conosciamo - cade il venerdì della terza settimana dopo Pentecoste (quest'anno il 24 giugno); ai tempi di San Francesco non esisteva in maniera esplicita questa devozione. I primi impulsi sono da trovarsi, infatti, nel Tardo Medioevo con gli scritti della mistica tedesca Matilde di Magdeburgo (1207-1282), di Matilde di Hackeborn (1241-1299) e di Gertrude di Helfta (ca. 1256-1302).
La grande fioritura della devozione si ebbe nel corso del XVII secolo, prima ad opera di Giovanni Eudes (1601-1680), poi per le rivelazioni private della visitandina Margherita Maria Alacoque, diffuse poi da Claude de la Colombière (1641-1682) e dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù. Saranno questi nomi, a diffondere nel mondo, questa particolare devozione. Il cuore, nulla di più vitale, dunque. E Cristo è vita e ci insegna a vivere, tanto che prima di dare la sua vita per noi, ha lasciato l’esempio per seguire le sue orme, incarnando l’amore tra la gente. Ed è ben evidente che amare è verbo del cuore.
I termini “amore” e “cuore” rappresentano - in una certa misura - i capisaldi degli Scritti del santo d’Assisi poiché egli stesso ascoltava con profondità il suo cuore e agiva secondo i suoi consigli; consigli che erano nel suo costato, che giungevano da altro costato ancor più grande, quello di Gesù. Se volessimo esprimere tutto questo in una metafora, si potrebbe sintetizzare - all’incirca - con questa immagine: pensiamo al Sacro Cuore di Gesù che irradia i suoi raggi-messaggi d’amore; questi, vanno a colpire il piccolo cuore di Francesco che a contatto con simili dardi infuocati, si accende e si dilata così da cogliere e accogliere il Sacro Cuore. Ma al contempo è lo stesso Sacro Cuore a custodire quello di San Francesco. E’ un gioco di specchi, composti di luce e d’amore che si riflettono nel cuore.
E per amare c’è bisogno di un cuore limpido, pulito, puro. È San Francesco che scrive, nella sua Regola non bollata del 1221: “Nella santa carità, che è Dio, prego tutti i frati, sia i ministri che gli altri, che, allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare, adorare e onorare il Signore Iddio, con cuore puro e con mente pura, ciò che egli stesso domanda sopra tutte le cose”. E, ancora: “Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l’intelligenza, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e la volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti, e ci salverà per sua sola misericordia”.
San Francesco aveva un cuore puro e desiderava che anche i suoi frati lo avessero. Per amare i fratelli, per amare Cristo, non può esserci se non un cuore limpido. E i “puri di cuore” sono soprattutto i bambini che amano senza misura, con semplicità. Viene in mente, allora, uno dei graffiti più famosi dello street artist Banksy: una bambina fa volare il suo palloncino a forma di cuore; quel palloncino va in alto; lo perde; lo guarda con sorpresa e accenna un sorriso. In fondo, sembra quasi contenta di “perdere” quel cuore. Così è stato per San Francesco, bambino puro, contento di donare il proprio cuore a chiunque perché “è donando che si riceve”.
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