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San Francesco e l’arte oggi

Dialogo con l’artista Fabio Capoccia

Sono lì, distesi come figli che dormono, in attesa di essere nuovamente svegliati in qualche altro luogo. Sono lì distesi, ancora ad accogliere le “carezze” dei visitatori. Sono i quadri della “Passione” di Fabio Capoccia che durante la Settimana Santa hanno visto la presenza di numerosi spettatori che si sono aggirati - tra le imponenti colonne della chiesa romana - per meditare sul mistero della Passione e della Pasqua. Fra questi spettatori, molti illustri, a cominciare dal cardinale Angelo Comastri (Vicario generale emerito di Sua Santità per la Città del Vaticano, Arciprete emerito della Basilica di San Pietro in Vaticano e Presidente emerito della Fabbrica di San Pietro) che ha presenziato all’inaugurazione della mostra. Camminando sopra il magnifico pavimento cosmatesco della basilica romana non si può che sentire la presenza dei francescani fra queste sacre mura.

Magnificenza e semplicità si coniugano perfettamente in armonia ed amore. E proprio sull’amore di Cristo, di Dio, il cardinal Comastri ha dichiarato a San Franceco patrono d’Italia: “La grande rivoluzione che Gesù ha portato nel mondo è una notizia meravigliosa riguardo al mistero di Dio. Dio è amore onnipotente e vince con la forza dell’amore. Talvolta l’amore sembra perdente ma a lungo termine - perché Dio si muove con tempi lunghi - è l’amore che vince. E i vincitori della storia sono tutti coloro che sono schierati dalla parte dell’amore vero che è dono. E oggi questa generazione ha bisogno di andare ancora una volta a scuola d’amore e l’unico mezzo è Dio”.

Dio è amore, dunque. Dio è Bellezza. E lo sapeva bene San Francesco d’Assisi che nella sua mistica poeticità ha voluto trasmettere tutti questi sentimenti, concetti che - proprio oggi, mentre infuria la guerra - sembra davvero vadano ricordati e riscoperti. E il viaggio che Fabio Capoccia ha intrapreso da tempo è proprio questo: coniugare l’arte e la spiritualità nella speranza di portare un messaggio, quello dell’amore per il Creato, per Dio. Troviamo l’artista intento a guardare le sue opere e il discorso non può non cadere su San Francesco, cantore insuperabile di Bellezza e di Dio, appunto.

Come si dipinge un’opera sacra, un’opera che abbia al centro Cristo, Dio. Mi vengono in mente le parole di Paolo VI: “Rendere visibile l’invisibile”. Non è - certamente - un lavoro facile, sbaglio?
La sacralità di un’opera nasce dalla sacralità del Creato, dobbiamo partire da questo concetto, secondo me. Ad esempio, la Passione riesce ad esprimere in sé la ciclicità della vita. Si può concepire e accogliere la morte solo se siamo in grado di capire a amare la vita in tutte le sue manifestazioni e dimensioni. La vita esiste solo se esiste la morte; dalla morte nasce la vita e rinasce il senso ultimo della vita medesima.

Francesco d'Assisi ha sottolineato proprio questo amare la vita in tutte le sue sfaccettature, impossibile negarlo. Lui, cantore della Bellezza di Dio e della vita. L’arte è espressione - da secoli - proprio di questo. E, allora, la domanda non può non essere spontanea: quanto la dimensione dell'arte era presente nel santo d'Assisi?
Gli studi umanistici, il mio interesse per l’umanesimo come dottrina ontologica e culturale mi hanno permesso di metabolizzare spiritualmente negli anni l’entità di San Francesco. La deformazione etimologica e strutturale della parola ‘Arte’ - oggi oltremodo barbaramente vessata nella sua intima essenza - è testimonianza e specchio diretto di un abbrutimento dell’uomo. L’arte porta in sé la necessità concettuale di un divenire, di un andare verso, di un creare adatto, armonico. Il Santo d’Assisi loda Dio attraverso l’immanenza delle Sue creature (si noti appunto l’idea del progresso, del divenire di tale termine) esalta la Bellezza del Creato come strumento per condurre in ogni momento Dio nel profondo della sua anima, delle nostre anime. Accoglie, respira, evoca la presenza costante di Dio nella forma della Sua Creazione, nell’arte medesima del creato. Concepire l’armonia di questo divenire che è il mondo in cui viviamo, saperla ospitare in noi e trasmetterla è forse la necessità prima e più preziosa di un artista.

Il suo legame con questa chiesa ha origini nella sua fanciullezza. Può spiegarci perché?
Il primo ricordo che mi riaffiora alla mente quando penso a Roma è la luce di una finestrella di pochi centimetri impressa sulle pareti della cella di un mio prozio, Leopoldo Capoccia, frate francescano in Aracoeli. Subito dopo vedo quelle sue mani forti e dolci che mi accompagnano nel convento. Salire da Piazza Venezia le scale che conducono alla Basilica è un intimo proposito di umiltà; non soltanto per la funzione storica e culturale che la scalinata porta con sé bensì per un atto di profondo legame con il creato appunto. Ci sono dei luoghi in cui frequenze di energie dimorano eternamente. Ottaviano Augusto imperatore riceve la visione della Vergine, della luce ‘sull’altare del Cielo’, sull’arx capitolina dove oggi sorge l’Aracoeli. Percorrere quei gradini per me fanciullo ha significato questo: salire verso una luce, la luce della scoperta, dell’accoglienza e della rivelazione quotidiana di un sorriso dolcissimo del mio prozio.

Chi è per lei San Francesco?
Il sorriso dolcissimo del mio prozio che prima ricordavo. La speranza, la tenacia nella vita sempre. La necessità di una legge della pietà, di una virtù nell’umiltà più sincera e naturale, di un ricercare continuo il valore della bellezza. L’ospitalità in noi della sacralità, della luce degli occhi dell’altro ogni giorno. La rinuncia come miglioramento e valore aggiunto per lo spirito, la preghiera come dialogo con la creatura che siamo. La ricerca continua della presenza, l’accoglienza dell’assenza nel significato umano. Questo per me è San Francesco.

Le parole del Cardinale Comastri:

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