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San Francesco, il santo che si di definiva peccatore

Il rapporto del Poverello con la confessione 

Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”. E’ San Francesco che parla con Cristo, in una imprecisato giorno del luglio 1216. Sarà l’inizio di quello che tutti conosciamo come “Il Perdono di Assisi”. E, alla domanda del suo compagno Frate Masseo: “Perché tutto il mondo corre dietro a te?”, Francesco rispose: “Perché Dio non ha trovato sulla terra un peccatore più vile di me”. E’ l'ineguagliabile umiltà di frate Francesco d’Assisi nel riconoscersi - soprattutto - peccatore. E se peccatore, dunque, desideroso di perdono da parte del Padre.

Francesco e il peccato, Francesco e il perdono, soprattutto. Sappiamo bene che questo periodo liturgico che stiamo vivendo - quello della Quaresima - pone in risalto uno dei momenti più belli, più intensi che Dio concede proprio a noi, “peccatori”: quello della Riconciliazione. Viene detta anche “confessione”. Nelle Fonti francescane, troviamo: “Dalla Confessione di Frate Francesco: “E ora confesso al Signore Dio Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, alla Beata Maria sempre Vergine e a tutti i Santi in cielo e in terra, a frate [Elia], ministro della nostra Religione, come a mio Venerabile signore, e ai Sacerdoti del nostro Ordine e a tutti gli altri miei frati Benedetti, tutti i miei peccati. Ho peccato molto per mia grave colpa, specialmente perché non ho osservato la Regola, che ho promesso al Signore, e non ho detto l’ufficio come prescrive la Regola, sia per negligenza sia a causa della mia infermità, sia perché sono ignorante e illetterato”.

L’eccellente frutto della confessione? Respirare Dio, come si respira l'aria nuova di una porta aperta per far cambiare aria nella stanza”, così scriveva lo scrittore francese di inizio ‘900, Léon Bloy. Nell’immaginario, forse, tutti abbiamo ben in mente quello che – a livello figurativo-pittorico – rappresenta meglio questo momento così alto e profondo: è il quadro “Il figliol prodigo” di Rembrandt.  Il chinarsi – in un abbraccio colmo di misericordia del padre – sul figlio, è l’immagine che meglio rappresenta ciò che spiritualmente è possibile “trovare” nella Confessione: sperimentare il perdono di Dio Abbà, Dio Padre, per ogni suo figlio che vuole riavvicinarsi al Suo Amore, dopo il pentimento sincero del proprio peccato.

San Francesco sapeva bene cosa volesse dire “peccato” e cosa volesse dire “perdono”. Della sua umiltà nel confessare i propri peccati non dobbiamo aver timore, o sentire un certo distacco: non c’è distanza infinita fra noi e San Francesco d’Assisi poiché in quella libertà “sottotraccia” - che possiamo percepire nelle sue parole - potremmo ritrovarci  tutti noi.  Perché no? E’ la libertà dei figli di Dio che - grazie al perdono del Padre - possono sempre tornare in comunione con il Signore. San Francesco ci parla del perdono. In fondo, ogni qual volta che ci confessiamo nel Sacramento della Riconciliazione, troviamo nel cuore la nostra piccola Porziuncola. 

 

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