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San Francesco secondo Jacques Le Goff

Per lo storico del Santo convergono storia civile e sociale

È del 1999 la pubblicazione di Saint François d’Assise (Gallimard), raccolta di saggi che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, Jacques Le Goff ha dedicato a Francesco. La traduzione italiana, del 2002, amplia il contributo inserendo, oltre alla postfazione di Jacques Dalarum, il capitolo Alla ricerca del vero san Francesco.

Fin dall’introduzione il medievista dichiara la sua fascinazione: “Francesco è stato uno dei personaggi della storia medievale più incisivi nel suo tempo e fino a oggi”. Secondo Le Goff in Francesco convergono storia civile e sociale, cristologia e mistica. In questo senso, per Le Goff, Francesco è “un oggetto di storia totale (ben lungi dalla biografia tradizionale, aneddotica)”. Il suo “armamentario di parole, idee, e sentimenti” è “un lessico d’azione” capace di arrivare vitale “alla soglia del terzo millennio”. Come Cristo ha diviso la storia in prima e dopo di lui, Francesco – in quanto alter Christus – è “non solo uno dei protagonisti della storia, ma anche una delle guide dell’umanità”.

Insomma, per usare categorie che, da Kant a Spengler a Thomas Mann, sono proprie della filosofia della storia, Francesco sarebbe per Le Goff a fondamento di una Kultur più che di una Zivilization: la sua universalità riguarderebbe cioè la sfera dei valori spirituali capaci di fondare una civiltà (Kultur) più che di quelli convenzionali, socialmente accettati, che perpetuano una civilizzazione (Zivilization). Francesco sarebbe “oggetto di storia totale” perché la vita evangelica che propone sarebbe la matrice di una Kultur capace di vedere, scrive Le Goff, “la presenza divina in tutte le creature”. Presenza che coincide con “un unico modello, un unico programma, seguire nudo il Cristo nudo”.


Dalla svestizione al suo corpo morto disteso “nudo sulla nuda terra”, ricorre in Francesco un elemento messianico che osserva la storia alla luce della paolina “follia della croce” (1Cor 18): “E il Signore mi disse che voleva che fossi un nuovo folle nel mondo” (Leg. Per.). Come Cristo, Francesco è “segno di contraddizione” (Lc 2, 34). Solo in questa prospettiva è comprensibile la citazione che Le Goff trae dalla Regola del 1221: “Non dobbiamo trovare né credere che vi sia nel denaro un’utilità maggiore che nelle pietre”.

Dal punto di vista di qualsiasi Zivilization, come rileva Le Goff, questa non sarebbe forse una “pericolosa sciocchezza”, una follia? Eppure la stessa domanda, nell’ambito di una Kultur improntata evangelicamente, cessa di esser retorica: Francesco, scrive Le Goff, “desiderava riunire un piccolo gruppo, una élite che facesse da contrappeso, mantenesse desta un’inquietudine. […] Questo contrappunto francescano è rimasto un bisogno del mondo moderno, per i credenti come per i miscredenti”. I Francescani somigliano insomma per Le Goff ad un “piccolo resto” (Rm 9, 27) destinato a precorrere il Regno. Francesco è figura escatologica: “uomo di un altro mondo” (1Cel 36), è “il nuovo evangelista di questo ultimo tempo” (1Cel 89).

Ecco agli occhi del medievista la “sancta novitas” di Francesco, una novità capace di immettere nella storia un tempo messianico, assolto dalle potenze che informano il mondo. Francesco additerebbe un novus ordo nel quale i valori codificati dalla Zivilization (come ad esempio il denaro nella Regola del 1221) vengono sospesi: novus ordo, nova vita, mundo surgit inaudita, un nuovo ordine, un nuovo modello di vita sorge sconosciuto al mondo (Analecta francescana, t. X).

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