Tex e i francescani
Lo spirito religioso che emerge dal fumetto
Tex Willer è indubbiamente l’eroe più popolare del fumetto italiano; ha ispirato libri, mostre, persino film (anche se quello realizzato nel 1985 non fu gran cosa!) ed è — da moltissimi anni, ormai — il mio preferito. D’altronde, un adolescente come me, che nutriva una grande passione per il genere western, non poteva non entusiasmarsi per quel fumetto che gli consentiva d’immergersi con la fantasia in un campo indiano o tra le vie polverose di villaggi di pionieri e città fantasma, di viaggiare dentro una diligenza inseguita da pellerossa a cavallo o assalita da delinquenti col volto coperto: ancora oggi le sue nuove avventure mi vengono puntualmente spedite da persone amiche che conoscono questa mia passione ed esse costituiscono per me una piacevole, sana evasione dalle tensioni quotidiane (che certo non mancano).
Ranger — voce autorevole, anzi, all’interno del Corpo — e gran capo dei Navajos (è vedovo di una donna indiana, la bella Lilyth), svelto di lingua come di mano, Tex ha amici fedelissimi (Kit Carson, suo figlio Kit e il navajo Tiger Jack), che lo seguono ovunque, ma anche acerrimi nemici, primo fra tutti il diabolico Mefisto. Il personaggio, creato da Gian Luigi Bonelli nel 1948 e realizzato graficamente da Aurelio Galleppini, gode di una straordinaria longevità, se pensiamo che — sup erati ormai i settant’anni — continua a mostrare la freschezza di un adolescente: ristampe a colori si sono susseguite nel corso degli anni, in brossura o copertina rigida, in formato sempre più elegante, sovente sotto l’egida di grossi quotidiani. Ciò mi ha consentito di rileggere vecchie storie, nelle quali ho avuto modo di soffermarmi su particolari che non poteva certo cogliere l’o cchio dell’adolescente che ero quando le sfogliai per la prima volta.
C’è da dire che — diversamente dalle prime strisce di Capitan Miki del 1951- 1952 — in Tex è poco presente l’elemento religioso. A differenza del primo Miki, qui gli eroi generalmente non pregano e vige, di norma, la legge antica dell’“occhio per occhio”, anche se l’istituzione religiosa non viene maltrattata: esempi buoni e cattivi si alternano tra le figure dell’universo protestante — in tanti “reverendi ” sembra, infatti, di poter scorgere più il ministro protestante che non il prete cattolico —, mentre fanno quasi sempre una bella figura i religiosi della Chiesa cattolica, generalmente frati francescani (giustamente, peraltro, visto che compaiono per lo più in storie ambientate nelle zone di confine tra il Messico, l’Arizona e il Texas, dove la presenza francescana è stata storicamente determinante).
Nella serie avviata nel 2019 per il settantesimo di vita del personaggio — 70 anni di un mito, una pubblicazione settimanale non vendibile separatamente da «La Gazzetta dello Sport» o dal «Corriere della Sera» — è stata ripubblicata la storia di Lucero, un indiano mescalero dotato di notevole abilità e intelligenza, capo di una banda che assalta, depreda e uccide alla maniera dei bianchi, rastrellando cioè oro e carta moneta, cosa inusuale, questa, perché gli indiani al metallo giallo non danno gran peso, se non per barattarlo — nei casi peggiori — con alcool di dubbia qualità. Lucero sembra inafferrabile e, in un primo tempo, si mostra tale anche a Tex e ai suoi pards, pur abilissimi nel leggere le tracce lasciate sul terreno.
È mettendosi alle calcagna di questo personaggio inafferrabile che Tex e Kit Carson, in un primo momento, poi i quattro tutti insieme, entrano in contatto con una missione di gesuiti, nella quale Lucero (sopravvissuto bambino a una scorreria che aveva insanguina- to il suo villaggio) era stato ac- colto e aveva poi vissuto per diverso tempo ricevendone un’ottima formazione intellet- tuale assorbita con straordina- ria recettività, tanto da rivelar- si, anno dopo anno, il migliore degli allievi. Tuttavia, nel mo- mento in cui la comunità stava per proporgli di prendere lui stesso i voti religiosi, era scap- pato dopo aver sottratto del denaro e un Crocifisso. In seguito, Lucero aveva assunto una doppia identità: dopo ogni scorreria rientrava infatti nei panni di un haciendero ricchissimo, don Fabio Esqueda. Nell’episodio, nascosto sotto l’abito religioso, egli non esita a recarsi nella missione dove aveva a lungo vissuto, per distruggere una foto che lo ritraeva assieme ai compagni del suo corso e uccidere con le proprie mani l’unico religioso superstite tra quelli che un tempo l’avevano conosciuto di persona, così da cancellare ogni traccia del suo passato.
Solo quando stanno per mettergli il sale sulla coda Tex e gli altri si rendono conto che Lucero e don Fabio Esqueda sono la stessa persona; ne seguono perciò le tracce fino alla missione: l’uomo vi era ritornato ormai in fin di vita, con in corpo il piombo di Carson, stringendo tra le mani il Crocifisso trafugato anni prima. La storia si chiude in modo inaspettato, con una grande catechesi sulla misericordia di Dio e il suo perdono. Ai religiosi, che gli si accalcano attorno per prestargli soccorso, Lucero parla a fatica: «Del mio corpo potrete ... occuparvi dopo ... ora devo chiedere qualcosa ... a padre Michele ... e devo chiederglielo ... in nome di questo», dice mostrando il Crocifisso. «Chi sei?», gli chiede allora il più anziano dei gesuiti: «Lucero». Condotto sulla tomba di padre Michele, il moribondo s’inginocchia, depone la croce sulla pietra e confessa: «A padre Tommaso ... presi il crocifisso ... e ... a lui la vita ... potrò mai ... essere perdonato? ». Gli risponde il padre più anziano: «Dio perdona sempre, Lucero».
La storia — il cui finale vale più di una predica —, pubblicata originariamente nel 1972, fu scritta da Gian Luigi Bonelli, il creatore di Tex, e illustrata da Guglielmo Letteri, il quale è stato sin dagli Sessanta una delle colonne della saga bonelliana. Si tratta di due pietre miliari nella storia del fumetto, che in questa occasione hanno prodotto — a mio giudizio — uno tra i risultati migliori della loro lunga carriera; tuttavia, riguardo al soggetto religioso la sceneggiatura rivela qualche errata convinzione e un’informazione carente. È l’unica volta — a mia conoscenza — che in Tex vengono tirati in ballo i gesuiti: perché proprio loro, quando tutte le altre volte in cui ci s’imbatte in una missione questa è regolarmente abitata da francescani? Forse che, parlando indirettamente d’insegnamento, la Compagnia di Gesù se ne riteneva più patentata? In realtà, benché in questo episodio i religiosi siano indicati come gesuiti, al lettore non può sfuggire che siano invece disegnati con l’abito dei francescani; inoltre, il loro superiore è chiamato «priore», con terminologia, cioè, né gesuitica né francescana. Osservazioni, queste, che non vogliono sminuire il lavoro di due giganti del settore, e costituiscono piuttosto un invito a intensificare collaborazione e conoscenza reciproca, perché anche un fumetto western — l’abbiamo visto — può contribuire a diffondere grandi valori.
da L'Osservatore Romano
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