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TG1 DIALOGO, SPECIALE ENCICLICA AMBIENTE

« Laudato si’, mi’ Signore », cantava san France­sco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con co­loriti flori et herba ». Francesco ricostruì un rapporto di sintonia profonda con tutta la creazione, soprattutto con il vertice dell’opera creatrice di Dio, che è l’uomo. Un rapporto oggi troppo spesso infranto, incapaci come siamo di custodire l’opera del Creatore poiché «non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura». E «perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale», perché «ci siamo allontanati da Dio», perché «non leggiamo i suoi segni» (Papa Francesco, 5 giugno 2013). In effetti, la radice di ogni comportamento di Francesco sta nel rapporto che egli seppe ricostruire con Dio, con quel Dio che l’aveva amato dall’eternità e al quale egli non aveva prestato attenzione per buona parte della propria vita. Quando, dopo un travaglio durato anni, giunse infine a scelte definitive con la decisione di uscire dal secolo, vale a dire con l’abbandono dei valori perseguiti dal mondo (e che fino all’età di ventiquattro anni erano stati anche i suoi) per riscoprire la bontà e la paternità di Dio, tutto acquistò un senso diverso: i poveri gli manifestarono il volto di Cristo, i nemici divennero uomini da amare, gli animali furono i suoi fratelli più piccoli, il creato si rivelò ai suoi occhi come l’orma del Creatore. Egli si mostrò allora convinto che non solo degli uomini fossero chiamati alla lode di Dio, ma tutta intera la creazione. È il creato nella sua interezza che deve lodare il Creatore: uomini, animali, piante, vento, acqua e fuoco, astri celesti e ogni altra creatura inanimata. È solo in questo contesto che possiamo comprendere nella sua piena e vera luce il Cantico di frate sole, il più famoso tra i compimenti poetici di Francesco. Un testo che – contrariamente a quel che molti credono – nacque in circostanze umanamente tutt’altro che facili. Nei primi mesi del 1225, ormai sullo scorcio della propria esistenza, Francesco si fermò a S. Damiano cinquanta giorni e più, in preda ad atroci sofferenze. A un certo momento, una notte, non ce la fece più, e invocò il soccorso del Signore; si sentì così rispondere in spirito: «Fratello, rallegrati e gioisci di cuore nelle tue infermità» (CAss 83); il mattino seguente compose il Cantico di frate sole. Ricordano i compagni: «Quando era più tormentato dal male, incominciava a dire le Lodi del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni, perché, andando dietro al canto, potesse dimenticare l’acerbità dei dolori e delle malattie. E così fece fino al giorno della sua morte» (ibidem). Quella poesia che nei secoli ha dato pace e consolazione a milioni e milioni di uomini nacque dunque in un momento di particolare dolore, eco di un animo pacificato nel profondo e perciò capace d’invitare tutte le creature alla lode di Dio. Finì poi per completarsi e perfezionarsi nel tempo. È certo comunque che non possiamo comprendere la disposizione di Francesco nei riguardi del creato e degli animali al di fuori di un orizzonte teocentrico, prescindendo cioè da Dio e dall’obbedienza che gli è dovuta. Il rispetto dell’ambiente passa quindi nel suo insegnamento attraverso il rispetto e l’obbedienza dovuti al Creatore: egli era infatti ben cosciente che Dio aveva creato l’universo come un giardino e voleva che l’uomo, riconquistato dal sangue di Cristo, tornasse a obbedire al suo Creatore così che l’universo intero tornasse a essere quel giardino che era stato in origine. L’obbedienza, sorella della carità, virtù poco amata in ogni tempo, chiede all’uomo di adeguare i suoi progetti a quelli che sono i progetti di Dio.

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