'Il nome della rosa' diventa una serie televisiva. Il capolavoro di Umberto Eco è su Rai1 con un protagonista francescano
A quarant'anni dalla pubblicazione del best-seller il romanzo sarà diviso in 8 episodi
di Antonio Tarallo
Appassionati e no dello scrittore Umberto Eco, si stanno già gustando la loro poltrona casalinga, davanti lo schermo a non so quanti pollici. Questo dipende un po’ da casta sociale. Eh sì, perché i pollici delineano anche questo, almeno un po’. Non è poi tanto cambiato il mondo da quando è entrata nelle case degli italiani, lei, la Signora per antonomasia: la televisione. E, questa, da qualche giorno ci sta informando che… “ecco a voi, signore e signori, il ritorno de “Il nome della rosa” a breve su questi schermi!”.
Ebbene sì, la nuova fiction di Rai1, è andata in onda il 4 marzo. A quasi quarant'anni dalla pubblicazione del bestseller di Umberto Eco e a 33 dal film di Jean-Jacques Annaud, con protagonista il “mitico” Sean Connery. C’è proprio tutto, negli studi di Cinecittà dove si è girata la nuova serie: l’abbazia, la bottega del macellaio, la sala del capitolo e la straordinaria, immancabile biblioteca: benvenuti nel Medioevo del “Nome della rosa”. Otto episodi da 50 minuti l’uno, suddivisi in quattro serate. Nel cast nomi internazionali come John Turturro nel francescano Guglielmo da Baskerville, Rupert Everett (Bernardo Gui), Damien Hardung (Adso da Melk), Piotr Adamczyk (Severino), Michael Emerson. E poi attori italiani come Stefano Fresi, Fabrizio Bentivoglio, Alessio Boni e Greta Scarano.
L’affresco del libro di Eco sul Medioevo, quello che sarà riproposto grazie a questa serie tv ci dà lo spunto per approfondire un tema poche volte – ahimè, siamo figli di una idea comune che vede questo periodo storico come “oscurantista” – affrontato: il ruolo del Francescanesimo nello sviluppo della cultura, e di una cultura che – in pieno segno “antropologico” di San Francesco – segna profondamente il periodo storico in questione. Sulla veridicità della “storia” in sé, o meglio della “storia nella Storia” non entriamo in merito, visto che la letteratura per essere libera – diciamolo senza nascondimento alcuno – un po’ libera lo deve essere. La partenza è lo sfondo storico, ma su questo piena libertà dell’autore di adempiere al suo dovere primario: interessare il lettore, o nel caso filmico, lo spettatore.
Comunque in tutta una storia intrigante come quella che ci viene presentata da Eco, possiamo trovare un’espressione ben evidente della preparazione culturale che poteva avere un “saio francescano”, racchiusa in questa “immaginaria” figura di Guglielmo da Baskerville, chiamato a risolvere dei misteriosi delitti in una abazia benedettina dell’Italia Settentrionale.
Quello che risalta al lettore-spettatore del “Nome della rosa” è la profonda conoscenza del francescano inglese Guglielmo di infinite branche del sapere umano, a partire da quello storico, a quello letterario; oppure dalla filosofia alla teologia; dalla botanica a… “chi più ne ha, più ne metta”, così si dice. E saranno proprio queste sue conoscenze a permettergli di giungere più facilmente allo scioglimento dell’enigma fondamentale: chi è l’uccisore, il killer seriale che è nascosto nella misteriosa abazia benedettina? Con la sua perspicacia riuscirà a scovare “il libro” killer, il libro segreto, ossia l'ultima copia rimasta del secondo libro della “Poetica” di Aristotele.
Ma dietro a questo personaggio inventato dalla penna di Eco, un fondo di verità c’è. E neanche di piccola portata. Si potrebbe fare, a riguardo, un lungo excursus sulla importanza dell’Ordine francescano per lo sviluppo delle università, e dunque della cultura “in toto”, nel mondo. Sulla nascita del sistema-università, parla chiaro Léo Moulin, che nel suo “La vita degli studenti nel medioevo” (trad. it. Jaca Book, Milano 1992), tiene a precisare:
“L’università è una creazione del medioevo, nata dalla sua visione dell’uomo, della natura e di Dio. Qualcosa di esplicito, di originale nella storia delle civiltà quanto per esempio il canto fermo e la musica polifonica. Tutte le grandi civiltà hanno le loro liturgie e le loro cattedrali, i loro santi e i loro vangeli. Tutte hanno il senso del sacro e del religioso. Tutte hanno dato prova della loro creatività artistica, intellettuale e spirituale. Ma solo la civiltà europea del medioevo ha fondato delle università, da Bologna a Cracovia, da Parigi a Toledo, da Oxford a Uppsala”.
Su questa invenzione e su come si sia sviluppata non basterebbero, certo, poche righe. E, allora, tornando al protagonista del libro di Umberto Eco, è interessante, ricordare una notizia diffusa nel marzo dell’anno scorso. E questa notizia riguarda proprio un “topos-luogo” di uno dei siti accademici più importanti del mondo, Oxford. E’ questa la terra del “nostro” (o di Umberto Eco) frate francescano inglese Guglielmo da Baskerville.
Fu di fondamentale importanza nella storia dell’Università di Oxford, proprio un convento fondato dai frati francescani, nel 1224. I resti di questo, sono stati rinvenuti nella cittadina inglese da alcuni archeologi. Fu proprio grazie al contributo di quei frati medievali, che Oxford si è rapidamente evoluta nel centro internazionale di studio che tutti noi conosciamo. L’indagine archeologica è stata importante anche perché il convento francescano – noto come Greyfriars – ospitava alcuni dei più importanti studiosi della storia dell’Università di Oxford e, di fatto, la più ampia storia della Vita Accademica Europea.
Tra gli eminenti studiosi medievali che insegnarono a Greyfriars c’erano Roberto Grossatesta (uno dei primi grandi matematici e fisici dell’Europa medievale), Roger Bacon (filosofo, linguista e pioniere della scienza empirica), Haymo di Faversham (un importante diplomatico internazionale che insegnò a Parigi , Tours, Bologna e Padova e Oxford), John of Peckham (che divenne Arcivescovo di Canterbury), Peter Phillarges (un francescano italiano ampiamente riconosciuto come Papa all’inizio del IV secolo) e, per finire, un “certo” Guglielmo di Ockham (un importante filosofo e politico radicale teorico).
Certo che, è un po’ curioso quanta poca differenza ci sia tra un “Guglielmo di Ockham” e un “Guglielmo da Basckerville”…non trovate? Ockham, professore a Oxford nel 1319, per poi essere accusato di eresia nel 1324. E il “nostro” detective francescano Guglielmo da Baskerville, viene collocato su un “immaginario e immaginato” finire del 1327. Pure casualità? Forse, o forse no.
Antonio Tarallo
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